Scena del crimine

"La fede e i medici per plagiare": la santona che beveva champagne

Mamma Ebe, al secolo Gigliola Ebe Giorgini, è stata una pseudo-guaritrice e fondatrice di una comunità religiosa. "Era una setta abusante", spiega la psicoterapeuta Patrizia Santovecchi

"La fede e i medici per plagiare": la santona che beveva champagne

Prometteva guarigioni prodigiose dal mal d'amore, dalle afflizioni personali e soprattutto dal cancro e dall'infertilità, con la sola imposizione delle mani. E laddove la circostanza lo richiedesse prescriveva persino unguenti e intrugli, a suo dire "miracolosi", a base di psicofarmaci. È così che Mamma Ebe, al secolo Gigliola Ebe Giorgini, negli anni '80 conquistò la fama di medico guaritore e guida spirituale. La "Santona di San Baronto", nome con cui era nota tra i suoi fedelissimi, fondò anche una pseudo-congregazione religiosa – Pia unione di Gesù misericordioso – che operò per circa 3 decadi tra San Baronto, nel pistoiese, e Carpineta, in provincia di Forlì. Venerata come una divinità in terra dai suoi discepoli, Ebe costruì l'ingloriosa carriera da guru lucrando sulla disperazione di chi, ignorandone la condotta truffaldina, le chiedeva sollievo dalle proprie pene in cambio di danaro.

Processata più volte per attività illecite, il 16 marzo del 2016, Mamma Ebe fu condannata, in via definitiva dalla Corte Cassazione, a 6 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata all'esercizio abusivo della professione medica e alla truffa aggravata. La vicenda di Gigliola Giorgini ispirò persino il regista Carlo Lizzani che, nel 1985, presentò al Festival di Venezia un film dedicato alla guaritrice di Carpineta (altro pseudonimo con cui era conosciuta). Ma chi era davvero la "Santona di San Baronto"? "La forza di Ebe è proprio il nome che ha scelto, ovvero 'mamma' - spiega la dottoressa Patrizia Santovecchi, psicologa, presidente dell'Osservatorio Nazionale Abusi psicologici (O.N.A.P.) a IlGiornale.it – Un nome, 'mamma', molto rassicurante, capace di ridare speranza a persone colpite dalle avversità della vita. Infatti, chi si rivolgeva a lei di solito erano persone estremamente vulnerabili a causa di malattie o altre forti problematicità considerate insolubili. Una ‘mamma’ Ebe non solo capace di prendersi cura ma, a suo dire, anche di oltrepassare i limiti della medicina convenzionale e quindi di guarire dalle malattie con il suo potere taumaturgico".

Chi è Gigliola Ebe Giorgini

Gigliola Ebe Giorgini nasce il 17 marzo del 1933 a Pian del Voglio, una frazione del comune di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. Penultima di quattro figli, vive con la famiglia Palminio, nella rigogliosa campagna pratese. Come si legge su Cicap, a soli dodici anni, è una bambina “tutta casa e chiesa” che sogna di prendere i voti come la sorella maggiore, suor Adele delle Minime dell’Addolorata. Lo desidera così tanto che comincia a raccontare di essere in "contatto diretto con la Madonna", di aver ricevuto "la chiamata del Signore". L’idea della monacazione però tramonta durante l'adolescenza. Ebe cresce e diventa sempre più bella: ha due grandi occhi azzurri, un lunga chioma corvina e un sorriso che non passa inosservato ai suoi giovani valsambrini.

All'età di 20 anni si innamora di un contadino con cui convola a nozze nel giro di pochi mesi. La neo-coppia di sposi si trasferisce al podere “Consuma” di Loretino, in una vecchia casa colonica immersa nel verde della campagna Toscana. Qui Gigliola contrae una malattia che la costringe a letto per settimane in preda alle allucinazioni. I medici che la visitano fanno fatica a trovare una diagnosi alla sua inspiegabile sofferenza. Un giorno rivela al marito di aver "visto la Madonna" e che la stessa le abbia suggerito di recarsi al Santuario di Padre Pio per la guarigione. Gigliola segue le presunte disposizioni della Vergine e, di ritorno da San Giovanni Rotondo, sembra rinata. Certa di aver ricevuto un miracolo e il dono della guarigione prodigiosa, Ebe si propone alla comunità di Loretino come guaritrice e guida spirituale. In men che non si dica la sua casa diventa meta di pellegrinaggio: Gigliola Giorgini diventa Mamma Ebe.

Mamma Ebe
Mamma Ebe intervistata da Maurizio Costanzo per il programma Buona Domenica

Gli esordi di Mamma Ebe

Il 1953 è l'anno della metamorfosi. Gigliola non è più la ragazza di San Benedetto Val di Sambro "tutta casa e chiesa". La sua dimora si trasforma in una sorta di tempio sacro e al contempo lazzaretto dove si rifugiano gli ammalati. I devoti cominciano ad arrivare all’alba e ci sono persone sull’aia del podere "Consuma" fino a notte alta. Tutti aspettano con grande fremito il proprio turno sulle prode dei campi, sotto gli alberi, seduti sulle stanghe di un barroccio se c’è il sole; nella fumosa cucina se soffia il vento o piove. Il paziente entra nella stanza della cura, una camera da letto allestita a mo' di santuario con le pareti tappezzate d’immagini sacre, candele, lumini e una grande statua che - si scoprì poi - veniva dalla chiesa di Sant’Angelo a Lecore. La statua riluce di ori: cinque chili di preziosi tra monili e ghingheri in metallo. Una quantità di ex-voto adorna le pareti: gli unici tocchi profani sono i formaggi e le mele a maturare sull’armadio. La santona di Loretino accoglie cordialmente i devoti: prescrive intrugli, a suo dire "miracolosi" e raccomanda preghiere dopo le unzioni. Ai pazienti Ebe non chiede denaro: accetta soltanto oboli, polli, prosciutti e formaggi. La sua attività però rende bene ed Ebe acquista una Fiat Turbo per le visite a domicilio, mentre il marito prende la patente di guida. Intanto il parroco del paese, insospettito dal viavai di fedeli, si rivolge alla Curia affinché ponga fine ai pellegrinaggi. Il vescovo interviene togliendole i Sacramenti e la benedizione della casa. A Lorentino l'aria si fa pesante e così nel 1957 mamma Ebe decide di trasferirsi a San Baronto, piccola località collinare a pochi chilometri da Montecatini, nel Pistoiese. È lì che Gigliola costruisce il suo "sacro impero" autoproclamandosi "Santona del Baronto".

La Pia Unione di Gesù Misericordioso

Sono centinaia, forse migliaia, i fedeli che tra la fine degli anni '70 e gli '80 affollano la dimora-tempio di mamma Ebe. Forte del seguito acquisito, la "santona di San Baronto" fonda una congregazione pseudo-religiosa, la Pia Unione di Gesù Misericordioso, che accoglie decine di suore e frati laici. La comunità religiosa di Ebe, o per meglio dire la setta sotto mentite spoglie di una confraternita (non sarà mai riconosciuta dalla Chiesa) conta circa 15 sedi – si tratta del numero accertato – in tutta Italia. All'interno della congrega la vita è scandita da ritmi ben precisi, tra "formazione" (in realtà, un plagio) e preghiera.

"Alle 22, dopo il suono di dieci tocchi di campana, tutti in Cappella per la recita della Compieta ed, infine, per l’offerta della notte, prendere la Benedizione dalle mani della stessa Mamma Ebe, quando c’era in casa, oppure dalle mani del Superiore, per i ragazzi, della Superiora per le ragazze - racconta un fedelissimo di Mamma Ebe attraverso il suo blog, nel 2016 - Se era presente un Sacerdote della Comunità, la Benedizione veniva impartita dallo stesso Sacerdote. Di poi, tutti a letto, dopo le pulizie personali: denti, viso, ascelle, bidet, piedi. La doccia due giorni la settimana, con cambio della biancheria intima e, ogni settimana, della camicia. Ogni settimana o quindici giorni, a seconda dei bisogni personali, il cambio dei pantaloni per noi ragazzi e delle vestaglie nere per le ragazze. Il tempo libero era ben poco, ma ognuno poteva dedicarlo liberamente a qualche attività sportiva, a qualche lettura od, ancora, alla preghiera personale. Una volta la settimana, insieme ai laici, presso la Villa, vi era la recita dell’Ora di Guardia dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, dei quali facevano e fanno ancora parte i volontari laici di Mamma Ebe di Gesù Misericordioso. E, ancora, una volta la settimana, a noi religiosi e religiose laici, separatamente dai semplici laici, la Mamma Ebe ci faceva una conferenza su: ”Conoscere se stessi”, istruzioni preziose di Anatomia, Fisiologia, di Alimentazione, Igiene Mentale ed il tutto per una migliore vita spirituale, secondo il motto: ”Mens sana in corpore sano”. Mens sana in corpore sano: niente di più falso. Ben presto, un'ondata di denuce per truffa, plagio e illeciti a vario titolo travolgono la santona e il suo team di collaboratori.

L'attività criminosa della setta e la denuncia per sequestro di persona

Non una comunità religiosa né un nuovo ordine sacro ma una setta. Tra le mura degli ospizi dove opera Mamma Ebe, con la complicità del secondo marito e un team di fidatissimi collaboratori, si consumano reiterati abusi psicologici e fisici. La santona, nelle vesti ormai di casta sacerdotessa e medico guaritore, con i palmi delle mani stigmatizzati, rifila ai suoi pazienti intrugli di dubbia efficacia - talvolta contenenti anche psicofarmaci - nel tentativo di plagiarne le menti e infoltire la sua schiera di seguaci. "Quella di Mamma Ebe, all’all'anagrafe Gigliola Ebe Giorgini, è una storia costellata da denunce e processi, se non anche condanne, per aver approfittato se non anche abusato, di persone che ha lei si erano affidate - spiega la dottoressa Santovecchi - Un altro punto di forza di Ebe è stato il fatto di insinuarsi nell’alveo della religione cristiana proponendo però una dottrina religiosa-magica-superstiziosa. Tanto è vero che raccontava di avere un rapporto privilegiato con la Madonna e con Gesù ed era, infatti, con il loro favore che operava le ‘guarigioni’ volute". Ma come si guadagnava la fiducia delle persone? "Il fatto che lei operasse con la complicità di medici compiacenti la rendeva verosimilmente più credibile agli occhi di chi viveva in uno stato di angoscia. - continua la psicologa – Una volta poi, entrati in contatto con la ‘mamma’ e con il suo gruppo di adepti, la dottrina, ovvero le dichiarate volontà di Gesù e della Madonna, affidate alla Ebe, convincevano la persona ad aderire e ubbidire pedissequamente, per ottenere la tanto sperata salute e con essa la salvezza. La persuasione e con essa la possibilità di manipolazione della mente diviene più incisiva quando intervengono delle dinamiche di gruppo, infatti, l'emulazione, fra i membri di una piccola comunità, spingono la persona, nel il suo desiderio di accettazione, ad aderire acriticamente alle credenze e alle pratiche del gruppo di appartenenza. Processo di adattamento e dipendenza che si fa più forte quando entrano in gioco forti necessità di ‘guarigione’ da malattie considerate incurabili o credute tali, o la risoluzione di situazioni fortemente angoscianti. Se a tutto questo aggiungiamo il fattore pseudoreligioso, ovvero la credenza che la ‘mamma’ Ebe era stata prescelta da Gesù e la Madonna per compire la loro opera sulla terra, è facile prevedere la presa psicologica che questo può avere su persone provate dalle avversità della vita".

Le cure e i medicinali prodigiosi non vengono dispensati gratuitamente ma solo previo esborso di danaro. Ebe ha messo in piedi un vero e proprio business che le lucrerà fior fior di quattrini garantendole agi mai avuti prima. Beve Dom Perignon perché, sostiene di "non digerire l'acqua", acquista gioielli, pellicce, anche uno yacht pare e, di tanto in tanto, si intrattiene nella sua alcova con qualche giovane presbitero. Fa la bella vita e gli affari procedono a gonfie vele mentre un numero crescente di fedeli si accalca fuori dal tempio della santona. Ma l'ascesa non è destinata a durare a lungo. Nel 1980 Mamma Ebe viene denunciata per sequestro di persona dal padre di una ragazza entrata nella Pia unione di Gesù Misericordioso. È l'inizio di una intricata serie di guai giudiziari.

La prima condanna

Mamma Ebe viene processata per la prima volta nel 1984 a Vercelli e condannata in primo grado a dieci anni e due mesi di reclusione. Altre condanne vengono inflitte ai suoi principali collaboratori, tra cui un monsignore, un religioso e il secondo marito (a quel momento ex) Gabriele Casotto. L'Opera viene messa sotto accusa dalla magistratura di Vercelli, dopo l'irruzione dei carabinieri nel marzo '84 in una casa di riposo a Borgo d'Ale, la "Consolata", gestita dalle "suore" ordinate della santona. In seguito all'inchiesta tutti i seguaci della donna vengono allontanati dagli asili e dagli ospizi, una quindicina, nei quali operano, e trasferiti nelle case di San Baronto e Morlupo. Nella casa per anziani i militari rinvengono scorte sospette di psicofarmaci, contabilità in nero e casse di champagne difficilmente conciliabili con l'austerità di un ordine religioso. I carabinieri concentrano la loro attenzione sulla fondatrice, accertando che aveva seminato vocazioni un po' in tutta Italia, fino a trasformare credulità e misticismo in un vero e proprio business. Nel corso dell'inchiesta si accavallano testimonianze di filiale devozione nei confronti della santona e di fanatico attaccamento alla sua figura enigmatica, con denunce per le truffe perpetrate. La condanna in primo grado a dieci e due mesi sarà poi ridotta a sei in appello e resa definitiva dalla Cassazione nel 1986. Nuovamente arrestata e processata a Roma, Mamma Ebe viene assolta nel 1992.

Gli altri guai giudiziari e la condanna della Cassazione

La vicenda giudiziaria si riapre dieci anni dopo, con un arresto nel 2002 a Cesena, e un altro nel 2004, a San Baronto di Pistoia. Le accuse sono associazione a delinquere, esercizio abusivo della professione medica, truffa e falso. Con lei vengono arrestati il marito e altri collaboratori, fra cui i medici che ordinavano psicofarmaci usati in quantità anomala nelle case di Mamma Ebe. L’inchiesta di Cesena porta alla condanna in primo grado a sette anni, con sentenza del 9 aprile 2008 dal Tribunale di Forlì; quella in Toscana ha prodotto il rinvio a giudizio deciso il 2 ottobre 2009. L'11 giugno del 2010 Mamma Ebe viene nuovamente arrestata con il solito corredo di accuse; altri 14 provvedimenti cautelari vengono notificati a 14 adepti della santona, tra i vari, anche qualche medico. Infine il 16 marzo del 2016 la Corte di Cassazione conferma la sentenza definitiva a 6 anni di reclusione, per associazione a delinquere finalizzata all'esercizio abusivo della professione medica e alla truffa aggravata.

La pomata "miracolosa" che guarisce dall'infertilità

Nel giugno del 2017 la polizia di Stato di Forlì Cesena ha avviato un’attività d’indagine relativa a una segnalazione nei confronti della santona. Una 37enne con problemi di fertilità è stata costretta dal marito, un professionista di 35 anni, a recarsi da Mamma Ebe, interrompendo le cure di medicina tradizionale in favore di quelle millantate dalla guaritrice di San Baronto, consistenti nell'applicazione sul ventre di una pomata "miracolosa". La donna, pur di non vedere sgretolare il proprio matrimonio, è stata costretta ad annullare tutte le pratiche mediche per procedere alla fecondazione assistita e in ultimo anche a pratiche adottive. La santona ha dunque iniziato a somministrarle una pomata che, a suo dire, sarebbe stata in grado di "sfiammare" le tube: tutt'altro che vero. L'unguento le avrebbero provocato una perdurante forma di irritazione cutanea e delle lesioni al basso ventre. L'esito dell'indagine non è stato mai reso noto.

L'ultima Mamma Ebe

Oggi Gigliola Ebe Giorgini, all'età di 83 anni, vive a Santarcangelo in Romagna. "Chissà se si è tranquillizzata", dice con tono ironico la dottoressa Santovecchi. Ma che ne è stato della Santona negli ultimi quattro anni? Qual è la sua eredità? "Mamma Ebe pare fosse stata seguace di Luigia Paparelli (missionaria convertita al movimento di Basilio Roncaccia). Quindi, come da tradizione che si rispetti, forse anche lei avrà dei ‘delfini’ che seguiranno le sue orme. Così come accade per molti gruppi con a capo un leader". "Nel 1984, anno del grande processo, è stata fatta una grande violenza alle nostre coscienze, poiché le autorità giudiziarie hanno sequestrato anche questi quaderni e hanno fatto scempio ed oggetto di accusa e di berlina i loro riservatissimi contenuti!", scrive il fedelissimo di Mamma Ebe sul blog personale. Poi conclude: "Comunque, da parte mia, come della Mamma, è tutto perdonato! Ci penserà Dio a fare giustizia!".

E chissà che non abbia ragione.

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