Cultura e Spettacoli

"Io, Bud e le serate con Chiari e Tognazzi"

"Io, Bud e le serate con Chiari e Tognazzi"

Jerry Calà è tale e quale. Sul palco o fuori dal palco lui scherza, ride, ragiona, filosofeggia, insomma è un attore nato che sta per festeggiare cinquant'anni di una carriera senza limiti. Ha creato slogan («Libidine», «Doppia libidine»), ha anticipato il futuro (Il ragazzo del pony express), ma ha saputo anche raccontare il passato (bisogna ricordare Sapore di mare?). Ora è un simbolo transgenerazionale, alla faccia dei critici che lo consideravano solo una meteora da cinema di serie B. Non ci credete? L'altra sera, alla Capannina di Forte dei Marmi, tra il pubblico c'erano molti più ventenni che suoi coetanei (ha 68 anni) e lui, da vero entertainer stile Las Vegas, è salito sul palco alle 2 di notte, mica dopocena al momento dell'ammazzacaffè. «In effetti sta andando benissimo, solo a giugno mi sono esibito con la mia band 16 o 17 volte, sono sempre in tour come i Nomadi», sorride lui mentre gli chiedono l'ennesimo selfie, a conferma che è uno degli attori più popolari in circolazione.

Però, Jerry Calà, come attore drammatico lei ha debuttato con Pupi Avati e ha vinto anche un premi al Festival di Berlino (Diario di un vizio di Ferreri, 1993). Poi?

«Gli attori non possono scegliere i ruoli e io non ho ricevuto tante proposte».

Perché?

«Sembra quasi che a Roma ci sia una compagnia di giro che prende tutti i ruoli. Alla luce degli incassi, sembra che il pubblico si sia stancato».

Nei cast non si legge il nome Jerry Calà.

«Forse perché non odoro di sinistra e non invoglio i registi. Per carità, non è una lamentela, soltanto una amara considerazione».

Che fine ha fatto il suo progetto di film su di un «proto leghista»?

«Intende Il Longobardo? Con il grande Dino Manetta si pensava di raccontare una storia che poi ho rivisto molto simile nel film Benvenuti al Sud. All'inizio avevo voglia di fare causa a quella produzione perché c'erano scene realmente uguali, poi ho lasciato perdere».

Se il cinema non la cerca, c'è comunque la tv.

«Invece niente. Siamo nell'epoca in cui una fiction ce l'hanno tutti».

Tranne lei.

«Sono un indie del cinema e della tv. Non a caso film come I ragazzi della notte oppure Vita Smeralda me li sono fatti da solo, anche in sala di montaggio».

Adesso si dice che si girerà Yuppies 3.

«In realtà non credo si farà mai. C'è di mezzo il mio amico Aurelio De Laurentiis che in questo momento pensa più al Napoli che al resto. Ma mai dire mai».

In ogni caso c'è un suo film in uscita.

«Odissea nell'ospizio che uscirà in esclusiva su Chili Tv e dal 2 ottobre presenteremo a Roma, Milano e Verona. I Gatti di Vicolo Miracoli si sono riuniti dopo tanti anni e qualche litigio, ma la magia è sempre la stessa. Umberto Smaila, Franco Oppini, Nini Salerno ed io in un ospizio che però non è così sganciato dalla realtà perché facciamo anche i conti con l'immigrazione e l'integrazione. Noi siamo un gruppo che ha litigato e si ritrova in un ospizio in crisi».

Autoironici.

«Ci propongono di fare una reunion per raccogliere fondi e salvare la struttura... Però intercettiamo anche l'attualità. Ad esempio, quando c'è la prospettiva che nell'ospizio arrivino anche gli immigrati, fuori dalla struttura c'è una protesta con i cartelli Prima gli italiani... Quando è stato proiettato in anteprima, molti mi hanno detto di non avere mai visto il pubblico ridere così tanto per tutta la durata di un film».

È la prima volta che si ritrova al completo un gruppo storico del cabaret italiano.

«Sono una parte fondamentale della mia vita. Sono nato come musicista in quella che è stata forse la band più giovane in Italia perché io avevo 15 anni e gli altri 13, ci segnalò anche il settimanale Giovane. Poi sono arrivati i Gatti».

Però li ha lasciati.

«Quando giravo il film Bomber con Bud Spencer facevo ancora serate con loro perché mi spiaceva deluderli. Una mattina all'alba, torno in albergo distrutto appena prima di iniziare a girare e mi ritrovo Bud Spencer davanti alla mia stanza, grande e grosso».

Perché?

«Mi fece un discorso chiaro: stai crescendo, devi scegliere, non puoi stare dappertutto. Bud è stato un mio grande amico, mi ha insegnato l'abc, quando è morto per me è stato un dolore profondo e vero. Non a caso in Odissea nell'ospizio ho voluto una sua gigantografia: un omaggio che gli dovevo».

Jerry Calà ha conquistato altri grandi del cinema.

«Beh, nel film la casa di riposo è intitolata a Walter Chiari. Lui mi voleva bene, d'estate condividevamo lo stesso albergo sulla riviera romagnola. Facevamo le serate e poi ci ritrovavamo lì di notte. C'erano Dario Fo, Gino Bramieri...».

Ma è vero che il comico fuori dal palco è sempre triste?

«È una cazzata pazzesca. L'idea del clown triste che piange a me fa ridere. Per me fare la battuta è una vera schiavitù, sia sul palco sia nella vita di tutti i giorni».

Con quali colleghi ha vissuto momenti indimenticabili?

«Gigi e Andrea senza dubbio. Avevamo una casa insieme a Riccione d'estate, quante risate. Ma anche con Ugo Tognazzi avevo un rapporto speciale. Lui mi affidò suo figlio Gianmarco durante le riprese del film Vacanze in America e poi abbiamo iniziato a frequentarci. Al festival di San Sebastián volle accompagnarmi alla proiezione di Colpo di fulmine di Marco Risi dell'85. Poi mi ricordo un 31 dicembre spettacolare».

Cioè?

«Avevo litigato con l'allora mia moglie Mara Venier, ero disperato, l'ho chiamato e lui mi ha detto di andare subito a casa sua a Velletri. C'erano Paolo Villaggio, Michele Placido e altri. Tognazzi si è inventato di andare all'improvviso in un ristorante durante il veglione. Abbiamo fatto un'improvvisata e ci siamo tutti divertiti da pazzi. Tognazzi era strepitoso, un grande uomo, oltre che un grande attore».

E Jerry Calà come si considera?

«Un attore che pensa di essere un artista a tutto tondo. Canto, suonicchio, recito, faccio one show con una band strepitosa (Giovanni Pepe, Sabino Barone, Dante Zoccolo), sono regista e, se capita, faccio anche il produttore. Insomma, ci metto tutto me stesso».

Jerry Calà fa uno spettacolo senza limiti. Musica, battute, improvvisazioni.

«Canto i grandi classici come quelli di Battisti per raccontare la nostra storia e la mia epoca. E dire che da ragazzo ero appassionato di rock inglese, di spirituals mentre oggi mi piacciono i Thegiornalisti, Ultimo, J-Ax con il quale ho fatto un video diventato virale. E Venditti, con il quale poco tempo fa siamo andati a cena e ci siamo divertiti tanto. Ah, e poi mi piace pure Umberto Tozzi, uno di quelli che hanno fatto grande la canzone italiana nel mondo. Pensi che lui veniva a casa dei Gatti di Vicolo Miracoli in via Venini a Milano e ogni sera ci suonava i Beatles: li conosce a memoria».

Rimpianti?

«Nessuno, ho una carriera meravigliosa.

Ma ora sento il desiderio di andare oltre il one man show, ho un nuovo aspetto, un'altra maturità, penso di potere dare ancora molto al cinema, molto di più di quanto abbia dato finora».

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