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L'«altra» Lega torna in corsa

La pax olimpica è durata meno di 24 ore. Giusto il tempo per qualche applauso di rito nel buon nome di una presunta unità nazionale che, lo testimonia plasticamente un governo sempre più spaccato in due, nei fatti non esiste

L'«altra» Lega torna in corsa

La pax olimpica è durata meno di 24 ore. Giusto il tempo per qualche applauso di rito nel buon nome di una presunta unità nazionale che, lo testimonia plasticamente un governo sempre più spaccato in due, nei fatti non esiste. Così, il giorno dopo l'assegnazione delle Olimpiadi invernali 2026 a Milano e Cortina, i Giochi diventano terreno di divisioni e distinguo. Le prime all'interno dell'esecutivo, con Luigi Di Maio che punta il dito contro la Lega e attacca «il solito partito del cemento» che vuole Tav e Olimpiadi per «mettere le mani sul nostro territorio». I secondi dentro il Carroccio, dove l'assegnazione dei Giochi ha ridato fiato alla vecchia guardia, quella più legata al territorio e alle ragioni del Nord, che da tempo chiede a Matteo Salvini di staccare la spina al governo perché mal sopporta la convivenza con il M5s.

Ci mancherebbe, la Lega è e resta un partito monolitico. Dove le decisioni del capo quasi mai vengono messe in discussione, soprattutto in pubblico. In questo Salvini ha saputo seguire l'insegnamento di Umberto Bossi e ha saldamente in mano il timone della barca. C'è però un mondo fatto soprattutto di amministratori locali che da mesi manifesta una forte insofferenza verso «il governo di Roma». Alcuni lo definiscono così, quasi a prenderne le distanze, nonostante Salvini ne sia una delle due leadership indiscusse. È la vecchia Lega, la stessa che è uscita vincitrice dall'assegnazione dei Giochi. Che, guarda caso, non hanno mai appassionato il vicepremier. Solo cinque anni fa, quando Matteo Renzi caldeggiava le Olimpiadi 2024 per Roma, Salvini non aveva dubbi. «Gente che in tutta Italia aspetta una casa e un lavoro da anni. E Renzi pensa a fare le Olimpiadi. Ricoveratelooooooo», twittava polemico. Ora pare abbia cambiato idea e si è unito anche lui al coro di applausi per l'assegnazione dei Giochi 2026 a Milano e Cortina.

È evidente, però, che nella Lega esistono due diverse correnti di pensiero. Quella del leader, che guarda al quadro nazionale e che, con successo, ha portato il Carroccio oltre il Po conquistando Centro e Sud Italia. E quella della vecchia guardia, più legata alla Lega tradizionale e attenta soprattutto alle istanze del proprio territorio. Basti pensare al governatore del Veneto Luca Zaia, da tempo considerato l'unica possibile alternativa interna a Salvini. Non è un caso che per lui a più riprese si sia ipotizzato un incarico come Commissario Ue all'agricoltura, una «promozione» che lo allontanerebbe dalle questioni italiane. Ma quella dei Giochi è anche la vittoria di Giancarlo Giorgetti, da sempre capofila del fronte critico verso il M5s. Già a febbraio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio aveva chiesto al ministro dell'Interno di far saltare il banco sulla Tav e tornare al voto per il Parlamento nazionale insieme alle Europee del 26 maggio. Salvini non gli ha dato retta, scelta che Giorgetti ancora gli rinfaccia. «Matteo doveva farla finita prima, ora - è il senso dei ragionamenti degli ultimi giorni - è inutile che continui ad alzare la voce mentre rischiamo di prendere una musata con la procedura d'infrazione». D'altra parte, la finestra elettorale che permetterebbe di tornare alle urne in autunno è ormai quasi chiusa, nonostante nelle ultime 24 ore - forti del successo olimpico - alcuni colonnelli della Lega siano ritornati a teorizzare lo strappo a Roma. «Come dimostra l'assegnazione dei Giochi, ce la facciamo benissimo anche senza i Cinque stelle», la butta lì un ministro di rango del Carroccio.

Difficile dire cosa abbia in mente Salvini. D'altra parte, lo scorso febbraio non è riuscito a capirlo neppure Giorgetti che in diverse conversazioni private dava la crisi di governo come imminente. Di certo, il leader della Lega vuole accelerare sulla flat tax e anche sull'autonomia, tema caro non solo a Zaia ma anche al governatore della Lombardia Attilio Fontana. Il punto è fino a dove ha intenzione di tirare la corda, anche perché il M5s fa trapelare che il testo sulle autonomie è «inadeguato» e non ancora pronto per approdare in Consiglio dei ministri.

Che detta così, sembra l'ennesimo «no» a Salvini.

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