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L'amarezza di Matteo: "Nemmeno coi mafiosi..."

L'amarezza di Matteo: "Nemmeno coi mafiosi..."

Niente di nuovo nel Belpaese dove la giustizia fa politica e viceversa. A Firenze un altro capitolo di una storia che va avanti da decenni. Tutti i finanziatori della Fondazione Open, quella di Matteo Renzi, hanno subito ieri delle perquisizioni a casa, di primo mattino. «Un'operazione con centinaia di perquisizioni - si è sfogato l'ex premier con i suoi -, di quelle che si fanno contro le organizzazioni mafiose. Tutti quelli che ho vicino, da Carrai a Serra e tanti altri, si sono visti perquisire casa, per dei contributi volontari alla Fondazione che, nella testa dei magistrati, agisce come un partito politico. A parte che i bonifici li avrebbero potuti trovare in banca, ma come si può teorizzare una cosa del genere? Non si possono cambiare le regole delle Fondazioni in corsa, darne un'interpretazione diversa. Parlano di parlamentari con le carte di credito: io non l'avevo, neppure Lotti, da quanto mi ha detto. Come pure gli altri. È la solita storia italiana, quando le cose ti vanno per il verso giusto ti vogliono azzoppare. Ti verrebbe davvero la voglia di mollare tutto. Di dire: volete il Paese? Tenetevelo, ci vediamo tra cinque anni. Poi, però, pensi che questo Paese lo ami e non molli». Eh sì, siamo alle solite, una costante. Tant'è che i Pm di oggi sono quelli che hanno arrestato i genitori di Renzi ieri e hanno visto l'ombra di Silvio Berlusconi dietro le bombe mafiose di Firenze. Hanno, insomma, una vera passione per le inchieste a sfondo politico.

Niente di nuovo nel Belpaese dove la politica non comprende la realtà, o peggio, se ne inventa una tutta sua. La premiata ditta Zingaretti-Orlando si è messa in testa che il Pd deve essere un partito speculare alla Lega, deve avere una vocazione maggioritaria, deve radicalizzarsi a sinistra perché l'elettorato moderato non esiste più. Insomma, vogliono copiare sul versante opposto il Salvini del 33% dall'alto - a sentire la maga Ghisleri ieri - del loro 18%. Nel loro schema questo è il nuovo bipolarismo italiano. E questo rimuovendo il dato che la sinistra ha vinto le elezioni solo mettendo insieme coalizioni con dentro di tutto; dimenticando che il picco più alto del Pd a vocazione maggioritaria, quello di Veltroni, fu anche quello che beccò la più sonora sconfitta da Berlusconi; e ancora, esorcizzando l'insegnamento di Berlinguer che ha sempre visto l'Italia pendere a destra.

Ora, poco male, se si trattasse di una teoria, ma da questa formula la premiata ditta fa discendere tutta una serie di possibili opzioni, che in alcuni casi, come si diceva, fanno a botte con la realtà. Ad esempio, è figlia di questo schema la tentazione elettorale che, come un fiume carsico, scompare e riemerge nel vertice del Pd. La settimana scorsa, ad esempio, Andrea Orlando, ha dispensato un consiglio a una vecchia amica di Forza Italia in pieno Transtlantico. «Prepàrati - ha sussurrato - a votare il 27 marzo. Dici che Franceschini non vuole le elezioni? Lo convinceremo: faremo un congresso che deciderà su questa linea e normalizzeremo i gruppi parlamentari». Proprio nelle stesse ore alla buvette di Montecitorio un gruppo di deputate del Pd discettavano su questa ipotesi che, a loro avviso, è una pazzia. «Se fai la manovra e poi vai a votare - osservava una sindacalista di esperienza come Carla Cantone - sei da Tso». Mentre Emanuele Fiano, altro pd che fiuta l'aria, scommetteva che i gruppi non avrebbero accettato «supinamente l'opzione elettorale».

Il problema, però, non è il voto o non voto, ma, appunto, il sogno di un surrogato di bipolarismo, sull'altare del quale il vertice zingarettiano sarebbe anche pronto ad andare incontro a una sconfitta annunciata: «Un giro - è il leitmotiv dell'inner circle - a Salvini bisogna farlo fare». Tesi su cui la pd Alessia Rotta sbotta: «Si sono messi a copiare Salvini nella convinzione di rappresentarne l'alternativa. Il problema è che utilizzano categorie desuete. E gli errori si moltiplicano. È ovvio, ad esempio, che Salvini, con i sondaggi al 33%, punti al maggioritario, innaturale che Zingaretti disdegni il proporzionale sapendo che può vincere solo giocando sulle alleanze. Di più: mentre Salvini non ha mai immaginato un patto strategico con i 5stelle, noi lo proponiamo proprio mentre il movimento è in crisi. Senza contare che se vuoi fare un tratto di strada insieme, dovresti accettare la trasversalità che è nel loro Dna. Nel loro c'è un pezzo di destra non indifferente, motivo per cui se i 5stelle si presentassero da soli in Emilia, ad esempio, toglierebbero consenso anche alla Lega. Se, invece, li costringi a stare in un'alleanza con noi, è probabile che la loro ala destra si riversi su Salvini. La verità è che l'attuale vertice del Pd non ha un'idea». Sono congetture vuote quelle della Rotta? A sentire i grillini no. «Zingaretti non lo capisco neppure io - osserva Gianluca Castaldi, sottosegretario grillino ai rapporti con il Parlamento -: noi siamo trasversali di natura, abbiamo dentro destra e sinistra. Io sono stato eletto in un paese di destra. Chiederci di presentarci alle elezioni insieme al Pd, significa dimezzare i nostri consensi».

Senza contare che un «patto» prevede obblighi da parte sia del Pd sia dei grillini. Già oggi. E a volte certe questioni spinose, conoscendo le problematiche del movimento, sarebbe meglio lasciarle risolvere al Parlamento, dando modo ai 5stelle di fare la loro battaglia di testimonianza, e ai partner di governo di evitare stupidaggini. Come Salvini fece sulla Tav. Con un metodo del genere, ad esempio, sulla «plastic tax» e sulla «sugar tax», figlie dell'ideologia grillina che non incontrano l'opinione prevalente degli italiani (secondo la Ghisleri per il 68% non serviranno al rilancio economico), non ci sarebbero stati tutti questi «stop and go» del governo. Uno schema che sarebbe ancora più utile sulla giustizia, dove sull'introduzione della «prescrizione» si è creata una situazione di impasse: il ministro della Giustizia, Bonafade, non accetta modifiche sapendo che il provvedimento a gennaio andrà in vigore; il Pd le vuole ma non ha il coraggio, per ora, di imporre una procedura d'urgenza sul tema in Parlamento. «In fondo - è la spiegazione di Andrea Orlando - poi quando ci sarà una nuova legge, gli effetti di quella di Bonafede nei mesi in cui sarà in vigore, saranno sterilizzati dalla norma del favor rei». Ragionamento un po' tortuoso, che Renzi, tanto più oggi, non accetta: «Io nell'accordo strategico con i grillini non entro. Né subisco i loro ricatti sulla giustizia. Non ci penso proprio. Io sul tema della prescrizione sto sulle posizione di Enrico Costa (deputato di Forza Italia, ndr)». Già, meglio giocare in Parlamento, consapevoli in fondo che l'unica forza di questo governo per stare in piedi (ed evitare di fare menate), si basa, nei fatti, non sull'ipotetico patto di Zingaretti con i grillini, ma esclusivamente sulla loro paura di andare a votare.

«Non so se Di Maio - confida il sottosegretario Castaldi - ha accarezzato anche lui l'idea delle urne, ma Grillo gli ha spiegato che sarebbe pura follia».

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