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La legalità non è razzismo

Stiamo ai fatti: porre un problema delicato, che non è razziale ma di sicurezza, non è reato e, anzi, può giovare a tutti

La legalità non è razzismo

Matteo Salvini apre un nuovo fronte, quello dei rom e delle centocinquanta baraccopoli disseminate in Italia, incubatrici di degrado e criminalità, soprattutto minorile. «Attento ministro, con noi devi rigare diritto», gli ha subito intimato una dei Casamonica, storica famiglia di rom già coinvolta nella Capitale in questioni di mafia e delinquenza comune. Un altolà al ministro arriva anche dalla sinistra che, ancora una volt, non riesce a dividere il grano (i diritti umani di tutti, rom ovviamente compresi) dal loglio, l'erba infestante che, in questo caso, sta distruggendo per prime le comunità rom e, di conseguenza, i territori sui quali si muovono.

Non sono il portavoce di Salvini (per fortuna mia e sua), ma escludo conoscendolo che il ministro voglia aprire una sorta di caccia al rom, così come non ha mai avuto intenzione di discriminare gli immigrati che hanno titolo per entrare e rimanere in Italia. In entrambi i casi non si tratta di «schedare» o «discriminare» (cose che oltretutto e giustamente la Costituzione vieta), ma di fare un po' di ordine. Mi spiego. I rom presenti in Italia sono tra i 150 e i 180mila. Di questi, circa 100mila sono italiani da una o più generazioni. Ma ce ne sono alcune decine di migliaia di cui sappiamo poco o nulla: sono sconosciuti all'anagrafe, al fisco, al sistema sanitario e spesso anche a quello assistenziale e i loro figli non frequentano la scuola dell'obbligo. Tutto questo permette loro di vivere in una zona grigia, fantasmi per lo Stato.

Un anno fa fu finalmente arrestata una ragazza rom con 25 identità e 19 anni di condanne per furti. Non si trattò di un fatto isolato. Famoso il caso di un'altra donna rom arrestata 80 volte che, dopo ogni fermo, si volatilizzava nei campi nomadi del Paese. Ecco, se Salvini e penso sia così intendeva dire che questa illegalità deve in qualche modo finire, non si può che dargli ragione. Pensare ad altro è un processo (ideologico) alle intenzioni, anzi alle non intenzioni. Porre un problema delicato, che non è razziale ma di sicurezza, non è reato e, anzi, può giovare a tutti. Come dimostrano dopo il blocco della nave Aquarius - le aperture all'Italia di Macron e della Merkel sull'emergenza immigrati. Stiamo ai fatti. Le opinioni, semmai, dopo.

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