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L'esecutivo immobile blocca pure la crescita

L'esecutivo immobile blocca pure la crescita

La paralisi come metodo di lavoro è ormai la cifra del governo Conte. Al punto che persino il decreto Crescita sarebbe ancora congelato in quel di Palazzo Chigi. Approvato il 4 aprile «salvo intese» - perché M5s e Lega non erano d'accordo sui rimborsi ai truffati delle banche - e poi «convalidato» in una sorta di seconda lettura martedì scorso dopo un convulso Consiglio dei ministri, del provvedimento sembrano essersi perse le tracce ormai da una settimana. Al Quirinale, dove il testo finale è atteso per la controfirma del capo dello Stato, pare infatti non ne abbiano più avuto notizia. E così anche la pubblicazione in Gazzetta ufficiale e l'approdo in Parlamento sembrano destinati a slittare. Con buona pace non solo delle imprese e dei risparmiatori truffati, ma anche dell'Ue che era in attesa del testo definitivo visto che il prossimo 7 maggio aggiornerà le stime macroeconomiche sull'Italia.

D'altra parte, il prendere tempo è la cifra dell'esecutivo gialloverde. Che, ormai in conflitto su tutti i fronti, è di fatto paralizzato da mesi. Certo, lo stallo è anche e soprattutto il frutto di un'anomala maggioranza caratterizzata da due leadership forti e un premier debole. Al punto che quando Luigi Di Maio e Matteo Salvini decidono di interrompere le comunicazioni o di non presentarsi alle riunioni di governo non c'è altra soluzione che soprassedere. Così, ormai non si contano più le volte in cui il presidente del Consiglio si è visto costretto a temporeggiare, rimandare e magari dimenticare. Non tanto per una sua incapacità, perché non fosse stato in grado di mediare e comporre difficilmente Giuseppe Conte avrebbe resistito quasi un anno a Palazzo Chigi schiacciato nella continua guerra di posizione tra i due vicepremier. Detto questo, l'immobilità dell'esecutivo è ormai un fatto acclarato. Dalla Tav al Def, passando per il caso del sottosegretario Armando Siri - il suo incontro con Conte è stato non a caso rinviato a data da destinarsi - ormai di esempi se ne possono fare a decine.

L'ultimo sono le nomine dei vertici di Bankitalia, in ghiacciaia da ormai quattro mesi. Un'impasse ai limiti del surreale, che forse potrebbe risolversi nel Consiglio dei ministri in programma questa sera. Anche se ieri pomeriggio, a chi gli chiedeva in privato una previsione, Conte si limitava a rispondere con un incerto «sono quasi sicuro che le faremo». L'ipotesi più gettonata è che il governo possa procedere a due delle tre nomine in scadenza. Ma solo perché costretto dal pressing silenzioso del Quirinale. Se l'esecutivo non dovesse rilasciare entro il 9 maggio i pareri necessari per ratificare le indicazioni del governatore Ignazio Visco, il direttorio della Banca d'Italia si ritroverebbe infatti senza numero legale. Di fatto paralizzato. Difficile, insomma, che non tanto Conte quanto Salvini e Di Maio vogliano spingersi fino a questo punto. Nonostante il braccio di ferro in corso da mesi tra il governo e Bankitalia e la guerra tra M5s e Lega per la nomina del successore di Daniele Franco ai vertici della Ragioneria generale dello Stato, uno stallo simile sarebbe senza precedenti e avrebbe ripercussioni serie anche a Bruxelles e Francoforte.

Per la Commissione Ue e per la Bce si tratterebbe infatti di una scelta non solo incomprensibile ma anche politicamente suicida.

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