Cronache

Libertà personale e dress code: una falsa antinomia

Ci risiamo: ennesima polemica sull’abbigliamento scoppiata a seguito dei noti fatti accaduti al liceo Righi di Roma

Libertà personale e dress code: una falsa antinomia

Ci risiamo: ennesima polemica sull’abbigliamento scoppiata a seguito dei noti fatti accaduti al liceo Righi di Roma. Si tratta di un tema ricorrente, quindi evidentemente irrisolto, perché trattato in modo superficiale e, soprattutto, con la logica della contrapposizione che pare mettere allo scontro docenti, studenti e genitori, quasi fosse impossibile tenere insieme le parti. La sintesi fra varie esigenze è possibile ma presuppone adulti responsabili, capaci di dare agli studenti gli strumenti per orientarsi, senza servirsi dei casi limite per il rafforzamento della propria posizione mutevole.

Chi ha una responsabilità dell’educazione deve assomigliare ad una solida quercia, non ad una canna di palude, ricordiamocelo. In questi giorni, assistendo ai vari confronti dai toni eufemisticamente accesi in tv, mi ha colpita come questi adulti non avessero la sincera volontà di dare ai ragazzi degli strumenti per orientarsi, perché troppo occupati ad affermare il proprio vissuto, il proprio convincimento. Insomma, non c’è verso: l’educazione è un movimento del cuore e della testa, un movimento liberante. E siccome la libertà fa una tremenda paura, allora la si ingabbia, stigmatizzando la questione e schierando i due fronti: da una parte i conservatori con il grembiule nero e il fiocco bianco, dall’altra i progressisti con la minigonna e l’ombelico in bella mostra. Ecco che, però, accade l’inimmaginabile: i ragazzi intervistati evidenziano l’ovvietà di un abbigliamento consono al contesto e quindi non giustificano affatto il comportamento della ragazza, piuttosto, in modo legittimo, sollevavano la questione dell’intervento della docente, intervento ritenuto inopportuno. La c’è la Provvidenza!

Eppure, ancora una volta, la comunicazione di massa non consente l’approfondimento della questione: meglio stare sulla superficie, portare a casa lo scontro. Non va a vantaggio dello share.

Come sempre, proviamo a mettere in fila le questioni, è un dovere nei confronti di quei giovani che hanno dimostrato grande maturità. Partiamo, allora, sempre dal solito presupposto, ossia quello educativo. La scuola è il luogo educativo per eccellenza. Se noi non educhiamo i giovani, se non facciamo loro capire il “perché” dei nostri sì e dei nostri no, allora è tutto finito. Certo ci deve essere dialogo ma, a un certo punto, deve essere il formatore a sapere dove deve andare il formando. Altrimenti: cui prodest?

La questione dell’abbigliamento non è forma, è sostanza. E’ sostanza della persona. L’abbigliamento dice, infatti, della persona, del suo modo di relazionarsi, delle sue scelte di vita. Ognuno se ne assuma la responsabilità. Perché le nostre scuole non educano più al bello, al gusto, alla moda? E non mi si venga a dire che dare indicazioni sul modo di abbigliarsi è porre vincoli alla libertà personale. La libertà è sempre unita al tema della responsabilità. Quale effetto il mio abbigliamento può avere sull’altro?

Ne viene di conseguenza l’appello ai ragazzi: cari studenti e care studentesse, vestitevi con decoro, con semplicità, con gusto. E voi, cari docenti, smettete di fare battute prive di sostanza educativa, non siete gli amici dei vostri studenti, siete i loro educatori, i giovani guardano a voi. Sappiate seminare nei giovani il rispetto di sé, del proprio corpo, del luogo in cui ci si trova. Le scuole, i luoghi di culto, gli ospedali sono luoghi sacri in quanto santificati dalla trasmissione del sapere, dalla presenza del divino, dalla sofferenza. Non meritano la sciatteria. La persona non merita la sciatteria. L'essere umano dovrebbe invece attraversare con la ragione tutte le circostanze della vita. È per questo che io non mi presento ad un convengo nè in abito da sera, nè in costume da bagno e neppure in borghese, vista la mia scelta consapevole di vita. Evidentemente, se il dress code ha un forte scarto di razionalità, la persona vuole inviare dei messaggi. Anche qui, si tratta di intendersi. Se c'è un regolamento accettato e sottoscritto, occorrerà rendere ragione del disconoscimento unilaterale. Basta essere chiari.

Sta al corpo docente riflettere. Ma riflettere seriamente, perché o la scuola e gli adulti tornano ad ESSERE persone serie, non dei bacchettoni, ma, ripeto, persone serie, o altrimenti è la fine della civiltà, in quanto intesa come insieme di civili, di cittadini che hanno a cuore il bene proprio e quello degli altri. Come vedete la forma è sostanza. I termini della questione restano sempre gli stessi: educazione al bello, rispetto di sé e degli altri, serietà degli adulti.

Se riusciremo a misurarci su questi aspetti allora sì che il dress code non verrà percepito come una limitazione della propria personalità quanto una responsabilità, in primis dagli adulti.

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