Cronache

È l'inferno fiscale che genera il paradiso fiscale

È l'inferno fiscale che genera il paradiso fiscale

La polemica sui conti italiani nei paradisi fiscali dell'America centrale dovrebbe essere letta a partire da un dato inequivocabile: e cioè dalla constatazione che l'Italia rappresenta un autentico «inferno fiscale» da cui è ragionevole, quando si può, cercare di fuggire. L'ultima conferma è arriva dall'Istat, i cui dati hanno ribadito che la pressione fiscale italiana è tra le più alte al mondo. Rispetto allo scorso anno la tassazione cala di un misero 0,1% sul Pil, ma è comunque sopra lo 0,2% rispetto alle previsioni.

Niente da fare: siamo uno dei posti peggiori per chi faccia qualche profitto, spingendo (...)(...) in tal modo imprese e capitali ad andarsene.In questo quadro non sorprende che vi sia chi porta i soldi a Panama, ma semmai stupisce che vi sia chi continua a ignorare cosa è ormai l'Italia. Quanti ogni giorno si lamentano per l'esodo dei capitali, la fuga dei cervelli e la delocalizzazione delle imprese dovrebbero capire che nell'uomo vi è un'innata attitudine a scegliere il meglio e a lasciarsi alle spalle il peggio. Salvo un numero limitato di soggetti con una qualche preferenza per il masochismo, quanti possono pagare meno invece che di più - se appena possono - colgono questa opportunità.Forse non se ne rende conto, ma chi punta il dito più contro i conti bancari off shore che contro la spesa pubblica spropositata, la quale genera tasse elevate adesso e pure altri prelievi negli anni a venire (nel momento in cui genera debito), di fatto sposa la logica che stava alla base di quei cecchini che dal muro di Berlino sparavano su chi voleva abbandonare un «paradiso» che era tale solo di nome.

La Germania socialista riteneva di avere investito somme ingenti in ognuno dei propri sudditi (in studio, cure mediche e assistenza), per cui riteneva illegittimo che qualcuno portasse via tali «capitali» incorporati.Il nostro è ormai un Paese da cui appare ragionevole andarsene. C'è chi avvia un'impresa in Thailandia o in Carinzia, chi si sposta in Portogallo per riuscire a sopravvivere anche con una pensione modesta, chi frequenta l'università in Svizzera o a Londra nella speranza di potere mettere lì le proprie radici e costruire così una carriera più ricca di opportunità.

Il problema, allora, non sono in primo luogo i conti (privati) a Panama, ma quelli (pubblici) a Roma.Da anni da noi il prelievo fiscale è altissimo: al livello delle socialdemocrazie nordiche, dove però la regolazione è meno asfissiante e quindi, nel complesso, il peso dello Stato è inferiore. In Italia, per giunta, si deve fare i conti con uno Stato imprenditore onnipresente (energia, banche, trasporti, poste ecc.) che condiziona in vario modo la nostra vita e moltiplica la corruzione. Infine - come ha evidenziato l'altro ieri la Cgia di Mestre - nelle regioni del Nord l'evasione fiscale è bassissima, con il risultato che qui il prelievo dello Stato su famiglie e aziende è a livelli stratosferici.

In tale quadro chi vuole continui ad abbaiare alla luna e fare moralismi, ma certo sarebbe assai meglio per tutti focalizzarsi sulla spesa statale e sulla necessità di ridimensionarla: in maniera consistente e in tempi brevi.Carlo Lottieri

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