Economia

L'onda statalista da Ilva e Alitalia all'acqua pubblica

L'onda statalista da Ilva e Alitalia all'acqua pubblica

Lo scorso 26 novembre un sondaggio Bidimedia ha svelato per chi voterebbero gli italiani se tornassero in vita i partiti del 1983. Risultato: Msi al 19,6 per cento, Pci al 18,9 e Dc solo terza con il 17,4. Quarti i socialisti con più o meno gli stessi consensi dell'epoca. Colpisce ovviamente il raddoppio dei consensi per la Fiamma tricolore, ma c'è anche una preminenza di partiti che credono in un ruolo centrale dello Stato nell'economia. Sarà per questo che molti partiti di oggi si stanno dando da fare per riportare l'Italia ai primi anni '80, e forse anche più indietro. Dall'idea di rifondare l'Iri allo spuntare di soluzioni statali per ogni azienda in crisi, il vento dello statalismo pare soffiare impetuoso. E la coalizione Pd-M5s ne è la perfetta interprete.

Il Sole-24 ore ha illustrato ieri il contenuto di un accordo tra Pd e M5s per creare una grande società che gestisca «l'acqua pubblica», secondo la definizione tanto cara ai grillini, nel Sud Italia. Sensato l'intento di superare la frammentazione della gestione. Ma il sistema scelto, la creazione di una società pubblica o misto pubblico-privata (e senza la forma della Spa) è un passo indietro clamoroso. Nel 2011 un referendum divenne fonte di consenso per i movimenti a favore «dell'acqua pubblica», base da cui nacque il M5s. I promotori del referendum paventavano una «privatizzazione» dell'acqua che in realtà era inesistente: molte società dell'acqua erano gestite male, ma solo una su cento era totalmente privata. La maggior parte era dei Comuni o mista pubblico-privato, gli investimenti scarseggiavano, nessuno controllava in modo indipendente la qualità del servizio. Passare a una nuova grande azienda senza controllo terzo pare una follia che, secondo gli studi delle aziende del settore riunite in Utilitalia, costerebbe 15-20 miliardi.

E che dire di Alitalia? L'economista Andrea Giuricin ha calcolato che con i soldi sprecati per salvare Alitalia, lo Stato avrebbe potuto comprare sei compagnie: Air France, Klm, Turkish Airline, Fly Norvegian, Finnair e Sas. Negli anni in cui era sotto il controllo dell'Iri la compagnia non andava certo meglio: lo Stato sborsò comunque miliardi per tenerla a galla, finché non decise di liberarsene nel 2008. L'idea di una cordata che ruoti intorno alle Ferrovie significa rimettere indietro le lancette della storia. Peggio ancora, c'è l'ipotesi del ministro Patuanelli di rifondare l'Iri.

Stesso discorso vale per Ilva: l'ex Italsider, dopo una lunga crisi negli anni '80, fu venduta al gruppo Riva nel 1995. I problemi ambientali nascono negli anni della gestione pubblica. E il governo attuale, dopo avere spinto nel pantano la cessione ad ArcelorMittal cosa pensa? A un intervento della Cassa depositi e prestiti, cioè il ritorno agli anni '80. Con il paradosso che a tentare di frenare folli avventure stataliste ora ci sono pure i sindacati. Infine le Autostrade: se davvero si revocassero le concessioni, chi sarebbe il nuovo gestore? Spunterebbe, ovvio, il nome di Anas.

«Non si tiene conto che oggi c'è l'Europa, un grande debito pubblico e una grande ricchezza privata. A meno che il retropensiero non sia di uscire dall'Europa», dice al Giornale Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, bastione del liberalismo che ha avviato una raccolta firme per l'abrogazione di reddito di cittadinanza e quota 100. «C'è una parte d'Italia che vuole questo genere di provvedimenti - dice Benedetto - ma la nostra petizione sta raccogliendo un gran seguito. E in quel sondaggio sui partiti dell'83 io vedo anche una scintilla di speranza in fondo al tunnel: Pri, Pli e radicali, i partiti dell'area laica e liberale, insieme sono al 18 per cento.

È più di quanto avevano allora».

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