Politica economica

L'ottimismo cade nel Mar Rosso

La conferma ufficiale che l'economia europea non scivolerà nella temuta recessione è venuta da Christine Lagarde

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La conferma ufficiale che l'economia europea non scivolerà nella temuta recessione è venuta da Christine Lagarde. Per mesi espressione di una rigidità degna di miglior causa quanto all'argomento tassi, interventi pubblici sullo stato di salute dell'Eurozona sempre inclini al pessimismo, nella sua prima uscita pubblica del 2024 la presidente della Bce ha sorpreso molti per l'atteggiamento improvvisamente dovish, ovvero più accomodante rispetto alla congiuntura nell'Unione. Confermando il raffreddamento progressivo dell'inflazione e la frenata sul fronte dei salari, ha di fatto suggerito che potrebbe non essere necessario attendere giugno per il via all'auspicato taglio del costo del denaro in Europa. Al punto che ieri un'agenzia internazionale dava per verosimile (con probabilità all'85%) un taglio dei tassi Bce entro aprile e un calo fino al 2,2% entro dicembre 2025.

A completare il quadro di un ottimismo che però ancora non convince tutti gli addetti ai lavori, sempre ieri il Fondo monetario internazionale ha diffuso le stime sul 2024 contenute nel tradizionale World Economic Outlook. Non sono previsioni di crescita cattive ma nemmeno strepitose, che non autorizzano a cantare vittoria sull'inflazione, ma certamente lo scenario che emerge è meno cupo rispetto a qualche tempo fa. Restano sullo sfondo i rischi di un contagio del conflitto tra Israele e Gaza, con tensioni che potrebbero estendersi in Medio Oriente dove, è bene ricordare, viene estratto il 35% delle esportazioni mondiali di petrolio e il 14% di quelle di gas. E se si considera che per quanta fiducia si possa seminare la crescita del commercio mondiale è attesa per quest'anno al 3,3% contro il 4,9% di prima che avessero luogo le attuali distorsioni geoeconomiche, non c'è da stare granché allegri.

Per quanto riguarda l'Italia in particolare, resta la grande incognita di come evolverà la situazione nel Canale di Suez, divenuto ostaggio dei guerriglieri Houthi dietro i quali si muovono senza tanti veli Teheran e Mosca. Come ha giustamente ribadito ieri l'altro il ministro Crosetto, la decisione di quei mercenari del terrore di non colpire le navi cinesi e russe - le sole che ormai da settimane attraversano il Canale indenni - altera gravemente le regole del commercio mondiale. Le merci che trasportano sono infatti gravate da noli e premi assicurativi di gran lunga meno onerosi rispetto a quelli imposti ai carghi dei Paesi occidentali, che invece sono alle prese con costi esorbitanti per le diverse e più difficili condizioni di viaggio. Tutto ciò si riflette sui prezzi finali sia dei prodotti importati sia di quelli esportati, che ovviamente incidono sull'inflazione, rallentando il processo di raffreddamento in corso. Insomma, è una guerra che alimenta un'altra guerra e l'Italia è forse il Paese che ha più da perdere da questa nuova crisi, sia per la posizione geografica improvvisamente divenuta scomoda sia per le gravose immobilizzazioni finanziarie che la nuova catena delle forniture impone, con perdita certa di competitività e quindi minore crescita.

Di qui la necessità che almeno sul fronte del Mar Rosso il Parlamento assuma provvedimenti rapidi e incisivi, che consentano alle nostre navi militari che operano in quell'area di adottare regole d'ingaggio efficaci non solo in linea difensiva: non sembri un'esagerazione, ma se la crisi dovesse protrarsi per altri sei mesi, ciò potrebbe fare la differenza tra nuova crescita e recessione.

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