Politica

L'urlo silenzioso della folla contro i dilettanti al potere

Una folla trasversale che difende il diritto allo sviluppo di un Paese umiliato dai "niet" grillini

L'urlo silenzioso della folla contro i dilettanti al potere

Esiste ancora un popolo che pensava di morire democristiano e che invece si ritrova in età matura con l'incubo di vedersi rovinare la vita dai congiuntivi sgangherati di Di Maio e dai veti anti modernisti di Toninelli. Questo è il mondo che si riversa in piazza Castello a Torino per la seconda volta in due mesi. Una folla trasversale ma compatta a difendere il diritto al progresso di un Paese umiliato dai continui «niet» grillini che disegnano un'Italia senza treni veloci, scollegata con il mondo, senza Olimpiadi e altri grandi eventi.

I silenti manifestanti si limitano a invocare «Sì Tav, subito» perché non è uno slogan politico o di resistenza anti partitica. «Sì Tav, subito», per questi uomini e donne, significa dare una scossa all'economia, aprire cantieri, assumere giovani ed esperti.

Il brusio di piazza Castello è il grido muto di un popolo che non alza la voce, non va a seminare odio e soprattutto non riduce ogni questione a un tweet ben riuscito o a una dichiarazione efficace di 4 secondi. L'età media è avanzata, si notano anche numerosi ottantenni. Capi firmati, orologi di lusso e pellicce denotano un target medio-alto, di professionisti e lavoratori che hanno già fatto la loro parte e che vogliono un'Italia ai livelli del benessere che loro stessi hanno contribuito a creare. Un distinto settantenne, barba candida e cravatta, forse un ingegnere, ostenta un casco giallo da cantiere in testa. Una signora elegante non si vergogna a esibire il suo sacchetto di carta frutto dello shopping in centro: è arancione come richiede il dress code del raduno.

Nessuno urla slogan, quasi nessuno si lascia coinvolgere dall'organizzazione a ritmare con il battimani il We will rock you dei Queen. Ma tutti cantano l'Inno di Mameli che unisce ancora di più i partecipanti, fratelli di giornata in nome della priorità di una società civile stanca di un governo dilettantesco.

Se negli anni '50 era stata la televisione a unificare il modello di sviluppo di un Paese ancora frastornato dalla guerra, oggi anche l'alta velocità ferroviaria aiuta ad accorciare le distanze. Non è casuale la partecipazione, tra un centinaio di comuni italiani, anche quella di Genova, Verona e Venezia, ormai interconnesse da quella Tav demonizzata dai grillini di lotta e di governo.

Sono i più giovani i manifestanti che addirittura si avvolgono con la bandiera stellata dell'Unione europea, la generazione social che trova incomprensibile impiegare sei ore in treno da Torino a Parigi quando sarebbe possibile farlo in metà tempo. Fa riflettere questa piazza matura, forse anche mediamente benestante, che un freddo sabato di gennaio si ritrova per chiedere infrastrutture e sviluppo, senza rivendicazioni populiste di soldi facili e subito.

Ma perché i Di Maio, i Di Battista e i Toninelli non sanno sintonizzarsi con la parte più responsabile del Paese? Non si possono negare legittime aspirazioni di crescita solo per lusingare quella parte di elettorato che si sente appagata da regalìe di Stato o dalla demonizzazione dei vaccini. Così non si va lontano.

Per comprendere le necessità della società, è bene ogni tanto fare un salto nelle numerose piazze Castello d'Italia.

Tanti professionisti, imprenditori, dirigenti, commercianti, impiegati e pensionati hanno più da raccontare degli invasati che sanno solo scrivere insulti sui social, magari inframmezzati dai «forza Luigino» e «torna presto Dibba».

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