Economia

Chi contesta il sostegno non è un nemico dei poveri

E sul reddito il governo chiede ai vicini di denunciare i furbi

Chi contesta il sostegno non è un nemico dei poveri

T ra i commenti riguardanti il reddito di cittadinanza ce n'è uno, apparso su La Verità, che introduce una strana equazione. Secondo quanto è stato scritto su quel quotidiano, infatti, le critiche del Giornale e di altri all'assistenzialismo dei Cinquestelle sarebbero da collegare al fatto che tale elargizione di denaro pubblico non è favore dei ricchi, ma dei poveri.

In sé la tesi ha i suoi quarti di nobiltà. Già Karl Marx bollava come «ideologici» i principi liberali e, più in generale, l'intero diritto occidentale. Per il filosofo tedesco chi si schierava per la proprietà stava solo difendendo gli interessi della borghesia. Non ci sarebbe, insomma, alcuna dignità filosofica né giuridica in una visione volta a proteggere la società dallo strapotere statale, dato che il vero conflitto sarebbe tra i proprietari dei mezzi di produzione e i proletari.

Anche senza le sofisticherie del pensiero marxiano, è questo che La Verità sostiene quando identifica la difesa delle élite e il rigetto della carità di Stato. Se contesti il socialismo dei grillini e punti a dare a chi è in difficoltà vere opportunità, e non modesti sussidi, sei soltanto un lacché al servizio delle multinazionali, dei poteri forti, del capitalismo reazionario.

Non è così. L'Italia precipita non perché manchino aiuti ai più deboli, ma perché da decenni non si sa fare altro che tartassare chi lavora per finanziare chi sta ad aspettare che la manna scenda dal cielo. Lo scontento sempre più diffuso nelle categorie produttive è connesso al fatto che, in Veneto esattamente come in Lucania, l'artigiano non soltanto è stanco di sovvenzionare il senegalese giunto con i barconi, ma nemmeno intende dare la mancia al giovane nullafacente di Como o di Portici.

Come spiegava Milton Friedman, un governo che penalizza chi lavora e premia chi un posto non ce l'ha non si stupisca se poi vede moltiplicarsi i disoccupati. Perché oltre a essere ingiusta e illiberale, la misura voluta da Luigi Di Maio e accettata da Matteo Salvini finisce, alla fine, per danneggiare proprio i più deboli. Da sempre il pensiero liberale contesta le logiche assistenziali con una serie di argomenti: perché indebolire la proprietà manda in crisi l'intera economia, perché gli incentivi contano, perché gli apparati assistenziali intrappolano gruppi sociali e territori, perché chi vive di redistribuzione è poi costretto a baciare la mano del potente di turno, e via dicendo.

Se gli argomenti a favore del socialismo redistributivo fossero fondati, i regimi comunisti avrebbero dovuto offrire condizioni formidabili ai più deboli. Al contrario, oggi sappiamo come solo i paesi capitalisti (e non quindi l'Italia, eternamente democristiana e assistenzialista) possano offrire opportunità di una vita dignitosa alle famiglie più povere.

Perché chi oggi sta male e ha sale in zucca non chiede il pesce dei gialloverdi; chiede invece che ci sia un contesto istituzionale (basse tasse, poche regole, mercati aperti) che gli permetta di imparare a pescare.

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