Politica

Di Maio leghista "ad honorem"

Il sottosegretario Sibilia ammette: il nostro rapporto con il Carroccio è diventato ineluttabile

Di Maio leghista "ad honorem"

Lunedì mattina, una buvette di Montecitorio semideserta accoglie il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il grillino più fedele a Di Maio, giusto il tempo per una veloce colazione prima delle cerimonie della festa della Polizia penitenziaria. E davanti ad un cappuccino e ad un cornetto il Guardasigilli si lascia andare a ragionamenti che non stonerebbero sulla bocca di un qualsiasi esponente leghista. «Io non capisco - osserva - chi continua a polemizzare con Salvini sul tema immigrazione. Chi lo fa non comprende che sul problema la percezione che c'è nel Paese è tutt'altra. Le varie Carola di turno avranno pure i loro momenti di gloria, ma intanto Salvini vede crescere i suoi consensi. La verità è che chi non condivide l'impostazione del ministro dell'Interno dovrebbe fare un lavoro culturale sul Paese... E magari fra dieci anni...». Anche sul tema delicato della giustizia, sul rapporto tra magistratura e politica, in fondo, sia pure con un'impostazione diversa, Bonafede fa discorsi che anche l'ala verde del governo potrebbe sottoscrivere. «Il rapporto tra questi due mondi - spiega - deve essere regolato da norme rigide. Ad esempio, io sono del parere che non solo il magistrato che viene eletto in Parlamento non dovrebbe tornare in magistratura, ma addirittura chi si candida. Così ognuno si farà i suoi conti prima di fare un passo del genere. La verità è che da noi si enunciano principi del tipo un magistrato non solo deve essere imparziale, ma apparire tale, ma poi questi principi rischiano di non essere praticati».

Martedì mattina, seduto su uno dei divani del Transatlantico, Carlo Sibilia, sottosegretario all'Interno, si prepara al confronto sul decreto «Sicurezza bis», cioè sull'ennesima prova di forza messa in campo dal vicepremier leghista sull'immigrazione contro le Ong. E subito ti accorgi che Sibilia, esponente di spicco dell'ala governativa dei 5stelle, è più d'accordo con Salvini che non con i vari Fico e Di Battista. «Nel provvedimento - confida - ci sono ancora 2/3 punti da mettere a fuoco, ma troveremo la quadra. Nella sostanza noi e Salvini la pensiamo allo stesso modo. Certo poi noi abbiamo il solito movimentista che deve dire la sua, per colpa del quale la Lega aumenta nei consensi e noi no. Il problema di quest'anima pentastellata è che non sa dove atterrare: non sono d'accordo neppure con la sinistra di governo, ma solo con quelli di Rifondazione, cioè con quelli che al governo non andranno mai. Chi li capisce è bravo! E noi il problema non lo risolviamo neppure con 12 espulsioni, perché basta che uno di loro faccia una battuta e subito ha un'esposizione mediatica spropositata». Più Sibilia parla e più ti accorgi della metamorfosi antropologica del grillismo di governo: l'alleanza contingente del «contratto» con la Lega, infatti, si sta trasformando in «un'alleanza strutturale», almeno per l'anima dei 5stelle finita nella stanza dei bottoni. «La verità - spiega l'ambasciatore grillino al Viminale - è che il rapporto tra noi e la Lega sta diventando ineluttabile. Anche sull'economia, ad esempio, la pensiamo allo stesso modo. Se fossimo capaci, su questa piattaforma dovremmo lasciare il Nord, che non è cosa per noi, alla Lega; e, di comune accordo con il Carroccio, concentrarci sul Sud».

A sentire questi discorsi si arguisce come scaramucce, polemiche e bisticci tra leghisti e 5stelle siano solo ostentazioni identitarie, che non mettono in forse l'alleanza. Una formula che accomuna Salvini e Di Maio e spiega perché il leader del Carroccio pur avendo nei sondaggi un centrodestra che sfiora il 50% non abbia scelto la strada delle urne: il rebus è svelato. È la conferma che gli alleati prediletti di Salvini, i più funzionali all'egemonia leghista, i più malleabili, forse proprio per la paura di elezioni anticipate, siano proprio «i grillini di governo», gli amanti della «poltrona». Basta guardare all'epilogo dello scontro di ieri con il sottosegretario Spadafora: il grillino che accusa Salvini «di alimentare l'odio»; il leader leghista che risponde a muso duro, «se mi vede brutto e cattivo vada via»; Di Maio che minimizza, «quanto casino per un'intervista: Spadafora non si dimette, punto!»; e, infine, il vicepremier del Carroccio che fa finta di niente, spiegando al suo staff «dobbiamo aiutare Luigi che ha problemi con i suoi». «Al di là dei toni - osserva il sottosegretario all'Economia, Alessio Villarosa, altro grillino di fede «dorotea» - abbiamo la stessa posizione di Salvini sulle Ong. Anzi, noi siamo anche più duri della Lega. Vogliamo sapere chi sono, da dove vengono, cosa vogliono. Se siamo diventati alleati strutturali della Lega? Noi siamo cambiati molto. È indubbio. Per cui tutto è possibile...». Mentre Luca Carabetta, uno dei prediletti della Casaleggio associati, ammette: «Dopo poco più di un anno di legislatura posso dire che ci sono più affinità tra noi e la Lega, che non tra la Lega e Forza Italia. Ecco perché non vedo intoppi per il governo, almeno nel medio periodo».

Quando si sta insieme, quando si vive un rapporto simbiotico al governo, quando ci si mescola, è fatale, però, che il vaso del Carroccio diventi comunicante con quello pentastellato: l'ultimo boatos del Palazzo, infatti, ipotizza che cinque parlamentari grillini, i più in sintonia con le impostazioni del leader leghista, siano tentati dall'idea di indossare nei prossimi mesi la casacca verde. Sono cose che capitano tra partiti confinanti. E già l'idea che Lega e 5stelle siano partiti che si lambiscono, dimostra come si sia capovolta la geografia politica del Paese nell'era sovranista: il baricentro si è spostato sul confine di quelle che una volta erano considerate le «estreme», mentre i cosiddetti moderati sono finiti ai margini. «Tra i 5stelle - è l'analisi di Emilio Carelli, uno dei giornalisti finiti tra gli scranni parlamentari grillini - ci sono ancora degli oltranzisti, ma l'ala governativa, che è maggioritaria, si predispone ad essere l'alleato strutturale della Lega. Anche perché la prospettiva degli oltranzisti, più vicini a Fratoianni che non a Zingaretti, a conti fatti, ha come approdo solo il limbo dell'opposizione perpetua». Su questo processo dovrebbero riflettere in molti: quelli che nel centrodestra, dalla Meloni al Cav, attendono da un anno e mezzo il ritorno del figliol prodigo Matteo; e chi, a sinistra, punta a convertire il pianeta grillino.

Ad entrambi andrebbe ripetuta una gag resa famosa da Renzo Arbore 40 anni fa, quando Salvini frequentava le elementari e Di Maio non era neppure nato, in una celeberrima pubblicità sulla birra: «Meditate gente, meditate!».

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