Politica

Mattarella come Pertini: ogni dieci giorni un funerale

L'impressione è quella di un Paese che in casa propria annaspa in un pressappochismo miserabile sui cui però si preferisce sorvolare, e all'estero è bersaglio per il suo essere uno Stato occidentale, facendo però finta che si tratti d'altro

Mattarella come Pertini: ogni dieci giorni un funerale

In un arco di tempo ristretto, e già per due volte, il nostro presidente della Repubblica si è trovato ad accarezzare le bare di connazionali morti in una guerra che non si vuole ammettere, ma di fatto esiste. Fra le vittime innocenti di Dacca e quelle di Nizza, il destino si è amaramente divertito a imporre alla più alta carica dello Stato anche un altro funerale, emblematico nel suo essere il frutto di errori e mancanze squisitamente nazionali. Così l'impressione è quella di un Paese che in casa propria annaspa in un pressappochismo miserabile sui cui però si preferisce sorvolare, e all'estero è bersaglio per il suo essere uno Stato occidentale, facendo però finta che si tratti d'altro: lupi solitari, instabilità psichiche, rancori e diseguaglianze sociali...

In una nazione ad alta caratura retorica quale è la nostra, vige ormai da troppo tempo il vizio di demandare alla oratoria quello che l'esercizio di governo non riesce a mettere in pratica. Siamo circondati da una cortina fumogena di dichiarazioni, intenti, proclami, deliberazioni, statuti, insegne e onorificenze. E naturalmente è un proliferare di tavoli di discussione, commissioni d'inchiesta, audizioni, relazioni. Di minoranza e di maggioranza, ovviamente, con il loro corteo cartaceo e/o on line di deduzioni, analisi, conclusioni. Mai la chiacchiera ha assunto toni così sublimi e così ridicoli.

Chi ha una certa età e conserva ancora una buna memoria, ricorderà che ai tempi del terrorismo degli anni Settanta ci volle del bello e del buono per convincersi che le Brigate rosse non erano nere, che non si trattava soltanto di «compagni che sbagliavano», che non era tutto un complotto della Cia eccetera eccetera. I riflessi condizionati di allora, un ideologismo d'accatto figlio di un rivoluzionarismo infantile quanto tenace, sembrano paradossalmente essere trasmigrati in un'attualità di pensiero che rispetto alla minaccia di un terrorismo fondamentalista di matrice islamica preferisce prendere posizione de relato, il benaltrismo e il «ma anche» con cui un certo pensiero «de sinistra» ha celebrato per anni la sua demagogica egemonia.

Ora non è necessario aver frequentato la Scuola di guerra dello Stato maggiore, ma è sufficiente aver fatto il militare a Cuneo con Totò per accorgersi che c'è uno Stato islamico autoproclamatosi che pratica una guerra asimmetrica di cui il terrorismo in territorio occidentale è una delle varianti. È una guerra ideologicoreligiosa, nel senso che si mischiano elementi politici a elementi fideistici, ma è di fatto una guerra. Comporta quindi una presa d'atto della situazione, un'attenzione geopolitica nei confronti di altri Stati complici e/o conniventi con l'Isis, una rilettura e ri-mappatura dei governi amici e di quelli nemici, degli accordi economici, delle commesse militari, un'attenzione più mirata al territorio nazionale e un rinforzamento del nostro sistema di difesa. Il resto, tutto il resto, è propaganda, è l'eterno pagliettismo nazionale.

Ma l'idea di un presidente della Repubblica costretto a passare il tempo piangendo e onorando i suoi morti senza poter fare nulla per evitarli, se non appellandosi al destino cinico e baro, è indegna di una nazione civile.

Commenti