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Matteo il furbo abbaia ma non morde

Matteo il furbo abbaia ma non morde

Matteo Renzi prova ad attirarsi le simpatie dell'elettore liberale facendo la voce grossa contro la manovra tutta tasse (alcune delle quali particolarmente odiose e onerose per il ceto medio e le imprese) del governo Conte e contro il premier stesso. In un'intervista al Messaggero, Renzi lo chiama con malcelato disprezzo «l'avvocato Conte» e non esclude che la legislatura possa proseguire con un diverso premier, meno abusivo e inconsistente, si deduce dai toni, di quello attuale.

Sottoscriviamo ogni parola, ma non ci fidiamo a prenderlo in parola. Renzi che fa l'indignato per le troppe tasse è lo stesso Renzi che quelle tasse le ha proposte e avallate nel decreto del governo (che è istituzione collegiale) inviato ieri sera di fretta e furia al Senato? A occhio sì, è la stessa persona che con una mano firma le tasse e con l'altra l'intervista in cui dice che quelle tasse fanno schifo. Quindi è lo stesso Renzi di sempre, giocoliere di numeri, parole e poltrone.

Peccato. Già una volta - correva l'anno 2014 - ci eravamo illusi che Renzi potesse rappresentare se non un'opportunità almeno una sponda affidabile per liberali e moderati. E ci aveva creduto pure Silvio Berlusconi, che a lui si era avvicinato con il famoso patto del Nazareno per riformare il Paese. Andò male, la sete di potere dell'allora giovane premier rovinò tutto, aprendo la strada a Cinque Stelle e Lega.

Oggi Renzi riprova a giocare su due tavoli: al governo per fare da stampella alla sinistra che più sinistra non si può, dalla parte dei moderati nei dibattiti pubblici. Moderati dei quali vorrebbe i voti, ma nell'attesa prende loro i soldi. Ci si può fidare di uno così, che per giustificarsi promette: «In parlamento daremo battaglia a queste tasse» manco fosse il leader dell'opposizione invece che di governo?

Se Renzi fosse coerente con i suoi annunci, ieri avrebbe dovuto fare dimettere i suoi ministri e aprire la crisi perché il suo appello a togliere le «tasse odiose» è stato respinto dai suoi soci con una grande pernacchia (né vale la medaglia di avere disinnescato l'aumento dell'Iva, cosa che avrebbe fatto certamente anche il precedente governo). In assenza di fatti, le parole non ci bastano e restiamo al concetto con cui abbiamo titolato il giornale di venerdì: «Renzi si iscrive al partito dei tassatori».

Se nel prosieguo straccerà la tessera gliene daremo atto, e forse anche qualche cosa di più.

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