Cronache

Migranti, orrore e ipocrisia Cosa ci dice questa foto

Migranti, orrore e ipocrisia Cosa ci dice questa foto

Di fronte a foto così si può solo sentirsi il cuore stringere nel petto. E piangere la morte di questi innocenti, soprattutto se non si appartiene alla crescente schiatta delle sedicenti «anime belle» che vorrebbero avere l'esclusiva della pietà, mentre usano l'orrore per i loro scopi partigiani. Non lo meritano Oscar Alberto Martinez e la sua piccola Angie Valeria, trovati a faccia in giù nella melma del Rio Grande mentre cercavano di oltrepassare il confine che separa il Messico dagli Stati Uniti. Così come non lo meritava Aylan, il bimbo siriano di origine curda annegato a tre anni con il fratello di 5 e la mamma, nella spiaggia turca di Bodrum trascinati dal padre a cercare un futuro diverso. Chissà se migliore.

Perché proprio di fronte a tanta terribile morte, si ha il dovere morale di chiedersi come evitarla, invece di strumentalizzarla. È troppo facile fare leva sull'orrore e dare la colpa al muro, dire che quei morti li ha sulla coscienza il presidente Trump. Perché lui è solo l'ultimo e forse nemmeno il più rigoroso interprete della politica estera Usa. E se abbattere i confini fosse una buona soluzione, chiunque sarebbe ben felice di prendere in mano il piccone e licenziare gli addetti alla dogana. Perfino Trump. Ma poi, magari, la piccola Angie Valeria invece che nel Rio Grande sarebbe morta sulla grata di una metropolitana stroncata dal gelo dell'inverno di New York. O dalla fame in qualunque altra metropoli che non avrebbe potuto realizzare il sogno di suo papà. Perché accogliere non significa semplicemente lasciare entrare chi magari legittimamente scappa dalle guerre o anche più semplicemente dalla fame, ma offrire la garanzia di una vita dignitosa. E questo lo sanno bene, ma fanno finta di ignorarlo, anche le stesso «anime belle» che oggi con perfida vorrebbero sovrapporre la foto di quel confine tra Usa e Messico e quella spiaggia alla comandante della nave Sea Watch che ieri ha forzato il blocco navale per sbarcare clandestini a Lampedusa. Violando la legge e quel confine che l'attuale paradigma della convivenza civile tra popoli ancora prevede. E la cui eliminazione non risolverebbe il problema delle morti in mare, come dimostra il fatto che il bimbo siriano morì nel settembre del 2015 quando i nostri porti erano bene aperti e lontano il ministro leghista che ha inaugurato la stagione dei respingimenti.

E allora più che i muri o i governanti cinici e senza cuore, a fare morire quei piccoli sono gli squilibri economici e politici che, in un mondo in grandissima evoluzione, sono aumentati, invece di scomparire. Con lo straordinario progresso tecnologico di cui l'uomo è stato capace in questi ultimi decenni che ha aumentato invece di ridurre le diversità tra gli uomini. E soprattutto tra i Paesi, provocando inevitabili migrazioni che i confini possono scoraggiare, ma non eliminare.

Perché qui non si tratta di semplice pietà davanti a un bambino morto se, secondo l'allarme Onu sull'apartheid climatico, ci aspettano «120 milioni di poveri entro il 2030» (cioè domani). Con i ricchi che avranno i mezzi per sfuggire alla fame, «mentre il resto del mondo sarà lasciato a soffrire». E quindi condannato a morire su una frontiera.

Abbracciato ai suoi figli.

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