Cronache

Mirko Casadei: "Così il liscio romagnolo resiste nell'Italia della rottamazione"

Figlio di Raoul e pronipote di Secondo, Mirko Casadei porta avanti la dinastia del liscio: "Andiamo anche all’estero, ma restiamo romagnoli"

Mirko Casadei: "Così il liscio romagnolo resiste nell'Italia della rottamazione"

“Scusi, vedo un attimo perché Noa piange e sono da lei…”

Ma chi è, sua figlia?
“No, la mia nipotina, la figlia di mia figlia Asia! Io sono nonno!”

Non sarebbe un dialogo un po’ surreale se l’intervistato non fosse Mirko Casadei da Cesenatico, classe 1972, figlio di Raoul e pronipote di Secondo, l’autore di “Romagna Mia”, una delle canzoni italiane più famose del mondo e il fondatore dell’Orchestra Casadei. Era il fratello del nonno di Mirko, Dino, braccio destro del fondatore della dinastia del liscio. Uno cresciuto a pane e musica, praticamente.

Con un prozio e un papà così ingombranti come si cresce?
“Certamente è una responsabilità, ma ti dà anche la carica, soprattutto nei confronti di tutte quelle persone che sono in piazza nelle feste di paese e affollano i concerti. Loro vogliono che una storia, la nostra storia, vada avanti nel tempo”.

Un bambino come supera questo passaggio?
“Ci sono nato, nel vero senso della parola. Mio padre Raoul e mia madre Pina, napoletana, mi hanno concepito nei giorni della morte di mio prozio Secondo, il 19 novembre 1971. Coincidenze a parte, non ho avuto la sensazione di superare un qualcosa. “Romagna Mia” è stata un successo rilanciato da mio padre Raoul Casadei negli anni Settanta. Ed è stato anche il clima respirato in famiglia. E per famiglia intendo le persone che avevamo a casa a pranzo, al tavolone di casa mia sedevano da Fabrizio De Andrè a Vittorio Salvetti, il papà del Festivalbar. Non ho avuto quasi la sensazione di percorrere una carriera artistica sulle orme di mio padre. Per me è stata la storia di tutti i giorni”.

A proposito di Fabrizio De Andrè, il figlio Cristiano ha detto di essere salito sul palco quasi di nascosto dal padre e dal suo severo giudizio. Per te com’è stato?
“Sono arrivato alla musica popolare dall’esperienza di d.j. e di animatore nei villaggi turistici. In quegli anni la canzone-manifesto era “All that she wants” degli Ace of Base, non esattamente lo stile di “Ciao mare”, no?”

Poi ha deciso di continuare una storia...
“Più che altro direi di riprenderla. Mio padre aveva lasciato il palco nel 1980, per vent’anni l’orchestra Casadei non aveva qualcuno di famiglia che la guidasse. Nel 2000 salire sul palco è stato per me naturale”.

Torniamo all’idea di musica: dall’Albana e dal Sangiovese, dal casolare con la bella ai cocktail e alla musica da discoteca. Come si arriva a una sintesi di un percorso così vario come il tuo?
“In realtà noi Casadei nasciamo con le contaminazioni. Anche mio prozio Secondo infilava nei ritmi americani di allora, tipo lo swing, una mazurka romagnola. Ho solo adattato ai tempi la nostra storia. Il clarino con do tipico della nostra Romagna può stare anche con la consolle o con un sintetizzatore se dietro c’è un progetto coerente”.

La canzone popolare è anche colta. Per molti, sempre, ma piena di spunti e di contenuti, mi pare…
“La musica popolare può essere modellata su temi importanti, come quello dei migranti, che è una vicenda che colpisce tutti noi. In questo senso mi piacciono molto le ballate, le storie in musica alla De Andrè. E Goran Bregovic è una personalità vera”.

I progetti attuali in cui sei impegnato?
“Recentemente mi sono esibito a Mattino Cinque su Canale 5 con un gruppo romagnolo, i Khorakhanè, che sono partiti dalle cover di Fabrizio De Andrè per arrivare alle ballate popolari. E poi sto lavorando a “Adchì sit e fiòl?”, A chi sei figlio? Come dicevano le vecchie di Romagna ai più giovani per sapere a quale famiglia appartenessero. È un lavoro a cui tengo molto, perché parla di una Romagna che forse esiste sempre di meno, ma c’è. Magari oggi lo chiediamo noi ai migranti che vengono da Paesi lontani, spesso scappando dalla fame e dalla guerra”.

L’Italia è cambiata moltissimo rispetto agli anni del boom del liscio. Nella rottamazione come mai il liscio non ci finisce, ma anzi è un ambasciatore dell’Italia nel mondo?
“Bregovic mi ha detto che il segreto della musica popolare è la semplicità, canzoni orecchiabili che resistono ai cambiamenti. Anche perché raccontano mondi che sono familiari, anche se uno non li ha vissuti in prima persona. Non so quanti oggi nel nostro pubblico abbiano una bella che li aspetta al casolare, per capirci… Ma è un qualcosa che si tramanda nei ricordi tra le persone”.

I tuoi figli stanno seguendo le tue orme e quelle di nonno Raoul?
“Asia fa la sua vita, Kim, il maschio, suona la chitarra e il pianoforte e canta, ma per ora fa il bagnino in spiaggia. Ma io non sono preoccupato, facciano il percorso che preferiscono”.

Hai detto: oggi noi Casadei cantiamo la Romagna soprattutto fuori dalla Romagna. In che senso?
“La Romagna resta la mia terra, vivo a Cesenatico. Ma c’è un mondo di fondamentalisti del liscio che vorrebbero chiudere la musica in un museo per non cambiare niente. Ma i reperti nei musei s’impolverano e magari non li vede nessuno. Invece io voglio che la musica romagnola vada avanti nel tempo. Per cui le contaminazioni e i cambiamenti sono l’unica strada possibile”.

Se guardi dal palco dei tuoi concerti gli italiani in piazza il declino italiano e la crisi economica esistono?
“Agli italiani resta, nonostante tutto, nonostante i politici che ultimamente non hanno fatto un grande lavoro, la voglia di divertirsi, di essere allegri e spensierati. Sono stato da poco a Cesena, poi sarò a Bari e a Brescia. Pensare alla nostra Italia, bella e meravigliosa, mi viene da dire che i politici si sono davvero impegnati per ridurla in difficoltà”.

Il nome Casadei resta associato alle feste di piazza, a un’Italia paesana che resiste o è un brand globale?
“Andiamo anche all’estero, ma restiamo romagnoli. Mio padre e mio prozio hanno accompagnato con la loro musica il boom del turismo di massa in Riviera negli anni Sessanta, hanno sfatato il mito che il ballo fosse roba da ricchi o da padroni, roba per night o locali esclusivi”.

Nella vita di ogni romagnolo c’è un crescione (la piadina chiusa pilastro della gastronomia romagnola, ndr), ha detto qualcuno. Nel tuo crescione ideale cosa c’è?
“Io sono per la piadina e non ideale, ma materiale, squacquerone e rucola! Scherzi a parte, nella piadina ci metto l’amicizia e la famiglia. Mi sembrano ottimi ingredienti”.

Dalla bella al casolare al casolare con i migranti, umanità nuova alla quale guardiamo con molte preoccupazioni (in parte giustificate). In mezzo un successo da oltre 10 milioni di dischi venduti.

E “vai col lissio!” continua ad essere un’invocazione piena di attualità. E non è rottamabile…

Commenti