Cronache

La missione Mogherini ci costa 2,4 milioni per ogni scafista in cella

Lady Pesc: "Salva vite, è un vanto dell'Europa". L'ammiraglio la smentisce: "Non ci spetta, noi fermiamo trafficanti". Ma solo 16

La missione Mogherini ci costa 2,4 milioni per ogni scafista in cella

Dai tempi dell'Ulivo, «passare alla fase due» è l'eufemismo dei politici per non dire che la fase uno non ha funzionato. Da oggi la missione europea per «interrompere il modello di business» dei trafficanti di uomini entra nella fase due.

Lo ha annunciato l'ammiraglio Enrico Credendino che dirige, dal quartier generale in zona Centocelle a Roma, un'operazione che è un rebus già dal nome: Eu-Navfor Med. L'ammiraglio non è un politico, ha solo usato i termini confezionati dalle teste d'uovo di Bruxelles guidate da Lady Pesc Federica Mogherini. Ma l'eufemismo ulivista, dati alla mano, è particolarmente calzante: ascoltato ieri dalla Commissione parlamentare Schengen, l'ammiraglio ha tracciato un bilancio dei primi 108 giorni della missione: 22 scafisti individuati di cui 16 arrestati. Per fare i conti, bisogna tener presente che all'operazione navale hanno aderito 22 Paesi ma, a parte Germania e Regno Unito che hanno messo in mare dei mezzi, danno quasi tutti un contributo simbolico. L'Italia invece ha stanziato per questa «Fase uno» di pattugliamenti in mare 26 milioni di euro, cui va aggiunto il contributo di quasi 12 milioni della Ue. Trentotto milioni per arrestare 16 scafisti: fanno quasi 2,4 milioni di euro di denaro dei contribuenti per ogni trafficante in manette. Forse si risparmiava ad assumerli per non farli «lavorare». Eppure Federica Mogherini, voce del nostro governo in Europa e grande sponsor della missione, ne parla così: «È uno dei pochi motivi di orgoglio dell'Unione europea». L'italiana, Alto rappresentante della politica estera Ue, gioca sulla solita ambiguità, riferendo quante vite ha salvato la missione: oltre tremila in cento giorni. Salvare le vite umane è certamente cosa lodevole, ma Lady Pesc omette di dire quel che l'ammiraglio Credendino ha ribadito alla commissione parlamentare presieduta da Laura Ravetto: «Il soccorso è un obbligo morale e un obbligo internazionale, ma non è parte della missione: è questa la differenza con Mare Nostrum». Dunque Mogherini ha usato strumentalmente un pur moralmente lodevole «effetto collaterale» per coprirne i risultati meno che modesti sugli obiettivi veri.

Ora si potrebbe sperare in un cambio di rotta con la fase due, ma le premesse non sono buone. Innanzitutto non è affatto chiarito quale fosse il mandato nella fase uno. Mogherini aveva spiegato che era quello di raccogliere informazioni di intelligence sulle bande che gestiscono il traffico di uomini, per poi colpirle nella fase due. E aveva anche aggiunto, lo scorso 3 settembre, che «in almeno 16 occasioni avremmo potuto catturare gli scafisti». Anche questo non torna: secondo Credendino gli arresti sono stati effettuati. Ed è difficile che i militari abbiano agito non avendo mandato a farlo.

Intorno all'operazione navale insomma c'è tanto fumo. A partire dall'idea della Mogherini, chiamare la fase due «Missione Sofia», dal nome di una bimba figlia nata a bordo di una delle navi da una migrante tratta in salvo. Al di là della giustificata soddisfazione morale dei militari protagonisti dell'episodio, è solo una mossa di marketing.

Il punto vero è che la stessa fase due, ha spiegato l'ammiraglio, è divisa in un primo livello, l'abbordaggio in acque internazionali degli scafisti (ma solo se non hanno migranti a bordo), mentre il secondo livello, colpirli nelle acque libiche, richiede una risoluzione Onu. Sulla quale per ora non c'è consenso. Per la fase tre, incursioni a terra per distruggere barconi, serve il sì libico.

E qui siamo al libro dei sogni.

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