Cronache

'Ndrangheta, la Corte d'Appello di Salerno condanna il ministero di Giustizia a risarcire il boss

L'accusa arriva dalla Corte d'Appello di Salerno, che ha stabilito che il dicastero dovrà risarcire Luigi Mancuso per lentezza nella celebrazione del maxiprocesso "Genesi"

'Ndrangheta, la Corte d'Appello di Salerno condanna il ministero di Giustizia a risarcire il boss

Dichiarato colpevole per lentezza nel celebrare il maxiprocesso "Genesi", giunto a sentenza nel maggio del 2013, a 13 anni di distanza dall'operazione antimafia, realizzata nell'agosto del 2000. Così la sezione civile della Corte d'Appello di Salerno ha condannato il ministero della Giustizia a risarcire Luigi Mancuso, il 65enne boss della 'ndrangheta di Limbadi (Vibo Valentia), capo dell'omonimo clan.

L'assoluzione di Mancuso

Mancuso, per il quale la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro aveva chiesto 27 anni di reclusione, al termine del processo è stato assolto. E non essendo stato presentato ricorso in appello dalla Procura, la sentenza è divenuta definitiva al pari delle assoluzioni nei confronti di 30 imputati.

Il risarcimento

In base alla legge Pinto sulla ragionevole durata dei processi, il ministero è stato condannato al pagamento della somma complessiva di 5.500 euro in favore di Mancuso. Che è stato scarcerato nel 2012 dopo aver scontato 19 anni di ininterrotta detenzione per associazione mafiosa e associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. Oggi è libro ma è sottoposto alla sorveglianza speciale.

Chi è Luigi Mancuso

Considerato dalle forze dell'ordine un boss di grande spessore criminale, è ritenuto capo del clan dopo aver ricevuto il bastone del comando nei primi anni Novanta dal fratello Francesco, detto "Ciccio", patriarca e fondatore dell'omonima consorteria criminale del Vibonese, che la Commissione parlamentare antimafia ha definito come quella finanziariamente più forte d'Europa.

La storia (processuale) di Mancuso

Luigi Mancuso è stato condannato a Palmi e a Reggio Calabria nel processo nato dall'operazione "Tirreno" e a Milano nell'azione "Count down". Secondo i collaboratori di giustizia, nel 1992, Luigi Mancuso avrebbe rifiutato, nel corso di una riunione a Nicotera, in provincia di Vibo Valentia, di aderire alla strategia stragista di Cosa Nostra, con le bombe di Roma, Firenze e Milano del 1993, seguite agli attentati di Capaci e di via d'Amelio, dove persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Secondo le più recenti indagini, l'uomo sarebbe stato contrario anche all'autobomba con la quale, nell'aprile dello scorso anno, è stato ucciso, a Limbadi, il biologo Matteo Vinci (episodio di sangue per il quale si trova in carcere la nipote, Rosaria Mancuso, figlia di un fratello defunto).

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