Cronache

Odissea diritto all'oblio: tra burocrazia e Google è (quasi) impossibile "sparire"

La direttiva dell'Unione Europa sul diritto al non comparire online non mette spalle al muro Google e tutti gli altri motori di ricerca. Ecco perché eclissarsi dal web è un'impresa (quasi) impossibile

Odissea diritto all'oblio: tra burocrazia e Google è (quasi) impossibile "sparire"

C'è chi vuole sparire da questo mondo sgangherato vissuto ormai in "www" e sulle bacheche dei social network. Vuole, ma non ci riesce: la nostra quotidianità, ormai, è per buona parte in balia di Internet, i motori di ricerca – pensate a Google – sono imprescindibili (essendo il cuore dei nostri smartphone) e la fanno dunque da padrone. Ecco perché chi vuole eclissarsi dal web, togliendo il proprio nome e il proprio cognome dai “risultati” indicizzati, è chiamato a un'impresa (quasi) impossibile. Si chiama diritto all'oblio.

Per spiegarlo, ecco a voi la definizione di Wikipedia. Ops, è l'enciclopedia libera online, proprio come volevasi dimostrare…
Con "diritto all'oblio" si intende quella forma di garanzia che prevede la non diffusione di informazioni che possono costituire un precedente pregiudizievole dell'onore di un essere umano. Solitamente, si tratta di informazioni che riguardano specialmente i precedenti giudiziari di una persona. Precedenti giudiziari riportati per filo e per segno online nonostante quella stessa persona abbia ottenuto persino la riabilitazione dal tribunale. La riabilitazione, per inciso, è quell'istituto legale che – per certe tipologie di reati – ripulisce la fedina penale. Per cui non si dovrebbe neanche discutere sul fatto che Google intervenga o meno, perché l'oblio dovrebbe essere garantito giù di default. Ma il problema è a monte: noi ormai viviamo in un mondo digitale – e vi siamo entrati – senza avere però in mano e in Costituzione regole per una democrazia digitale.

Su questo punto il "radicale" Marco Cappato, sensibile alla tematica, è quanto mai chiaro: "Non deve esistere la condanna di infamia, che perseguita per sempre persone che hanno regolato i conti con la giustizia. Altrimenti si accetterebbe una sorta di pena accessoria, incompatibile con la finalità costituzionale di recupero del reo al vivere civile".

Spieghiamo ancora: nella pratica, rispettando questo (poco rispettato) principio dell'oblio non dovrebbe essere peraltro legittimo diffondere informazioni relative a condanne ricevute da un soggetto e altri dati sensibili di analogo argomento, a meno che si tratti di casi di cronaca o di attualità. Il principio, inoltre, sostiene che il risalto a quelle "info" sia proporzionato anche all'importanza del fatto e al tempo trascorso da quando è accaduto.

Bene, in teoria, esiste una direttiva dell'Unione Europea volta a tutelare le persone, riconoscendo questo diritto. Nella pratica, però, il regolamento Ue non obbliga Google e i giganti del web a ottemperare celermente alle richieste degli utenti. E così questi ultimi si ritrovano a vivere una propria Odissea prima di riuscire, tra una consulenza legale e l'altra – con tanto di ricorso al Garante della Privacy: se ne avete bisogno, è questa la soluzione – a vedersi riconosciuto quello che è un diritto (all'oblio).

Camillo Milko Pennisi, che si occupa personalmente di diritto all'oblio (avendolo vissuto sulla propria pelle per una vicenda di dieci anni fa) e che con il sito reputationpartners.it aiuta altre persone in tal senso, ci spiega: "Al di là dell'esistenza della direttiva europea, non c'è – o meglio, c'è, ma in modo estremamente macchinoso – l'automatico riconoscimento del diritto all'oblio a seguito di una richiesta avanzata. L'articolo 17 del Regolamento generale sulla protezione dei dati dell'Ue, nei fatti, non impone nulla a Google; solamente, dice che Big G deve provvedere alla rimozione, ma lo dice in modo molto generico, senza obblighi appunto…". Pennisi puntualizza: "E quando Mountain View risponde alle richieste lo fa spesso e volentieri con risposte standardizzate".

Nel mentre però il flusso di Internet continua a scorrere incessante. Tutti (ti) “googlano” e il problema della rete è che qualsiasi persona può reimmettere in circolo notizie vecchie e appunto cancellate in seguito a una specifica istanza di rimozione. Insomma, qualsiasi notizia può tornare in auge: non vi è una regolamentazione da questo punto di vista. E sarebbe anche ora che vi fosse, perché – sottolinea ancora Pennisi – "il diritto all'oblio è legato a doppio filo al diritto alla privacy e ad altri parametri della Costituzione. Ed è proprio qui il peccato originale: stiamo vivendo in un mondo digitale senza averne le regole di una democrazia digitale in Costituzione. Non siamo ancora attrezzati per il passaggio dal mondo Gutemberghiano della carta stampata al mondo digitale". Insomma, è un problema dentro un problema ancora maggiore, giuridico e democratico.

Contattiamo Google: ci allega il Transparency Report di Google e ci risponde ponendo l'accento proprio alla sezione dedicata alle Richieste di rimozione di contenuti ai sensi delle leggi europee sulla privacy: "Valutiamo ogni richiesta caso per caso. In alcuni casi potremmo chiedere ulteriori informazioni alla persona. Abbiamo sviluppato attentamente criteri basati sulle linee guida del Gruppo di lavoro ex Articolo 29". Google, in aggiunta, ci chiarisce i motivi della mancata rimozione: "Alcuni fattori materiali che ci spingono a non rimuovere le pagine sono l'esistenza di soluzioni alternative, motivi tecnici o URL duplicati. Possiamo anche determinare che la pagina contiene informazioni molto rilevanti per l'interesse pubblico. Determinare se i contenuti sono di interesse pubblico è complesso e può comportare la considerazione di diversi fattori, tra cui a titolo esemplificativo se i contenuti sono relativi alla vita professionale del richiedente, a un crimine del passato, a una carica politica o a una posizione nella vita pubblica, se i contenuti sono stati creati autonomamente, se sono documenti pubblici o se sono di natura giornalistica".

"In Italia, sono migliaia le persone che fanno domanda per ottenere l'oblio: ecco, Google deve esaminare caso per caso, e capire se si può applicare o meno il diritto alla cancellazione. Oltre al fatto che Big G possa far fatica a seguire tutti i casi, c'è poi sempre il problema di chi poi va a reinserire quello stesso contenuto", prosegue Pennisi, che indica qual è l'iter da seguire per un cittadino che vuole far valere i propri diritti: "Dopo aver bussato alla porta di Google, la cosa che si deve fare per ottenere qualcosa è il ricorso al Garante della Privacy: però ti devi prendere l'avvocato e non tutti possono permetterselo. E comunque lo ripeto ancora: anche il giorno dopo la cancellazione (che, se arriva, arriva con tempi biblici), l'hater di turno può ripubblicare tutto sul web, vanificando così ogni sforzo". La stortura, insomma, è fin troppo palese…

Ignazio La Russa, vicepresidente del Senato, ci fa sapere che proprio a Palazzo Madama si è creata una commissione (presieduta dalla dem Anna Rossomando) sul diritto all'oblio per quanto concerne, almeno per il momento, l'aspetto delle attività parlamentari: "Sarebbe corretto allargare il discorso e far sì che su questo tema vengano accesi i riflettori: oggi il luogo di informazione maggiore è Internet e con esso i social network. Quindi, dovrebbe essere riconosciuto, a chi lo chiede, il diritto che non rimangono online informazioni immotivate e nocive allo sviluppo della propria persona, della propria attività lavorativa e delle proprie relazioni.

Chi ricorre all'oblio deve ottenere facilmente – e sottolineo facilmente – il riconoscimento di tale diritto".

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