Politica

Ora lusinghe poi minacce

Ora lusinghe poi minacce

Lusinghe. Matteo Salvini è un grande seduttore. Conosce a memoria gli argomenti che deve utilizzare per ammaliare il proprio interlocutore. E nell'ultimo incontro con Silvio Berlusconi gli ha prospettato un sogno: «Se riusciamo ad approvare una legge maggioritaria e ad andare alle elezioni nel breve-medio periodo potremmo giocare con te la carta del Quirinale». Il Cav, che è uomo di mondo, ha capito che al leader leghista preme, soprattutto, portare Forza Italia nello schieramento pro-maggioritario. Ma quelle parole, quell'idea, quell'offerta non potevano non fargli luccicare gli occhi per la soddisfazione.

Minacce. Ieri quando l'assemblea di Montecitorio, finalmente in un impeto garantista, ha bocciato l'uso dei trojan per le intercettazioni e ha respinto la richiesta di arresti domiciliari per il deputato Diego Sozzani, Giggino Di Maio ha lasciato la Camera scuro in volto. L'episodio renderà probabilmente più rigida la richiesta grillina di approvare in tempi brevi la riduzione dei parlamentari, cioè il provvedimento che per i 5stelle dovrebbe rappresentare il core business di questo governo. «Andrà in aula alla Camera per l'approvazione definitiva - confida il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, il grillino Gianluca Castaldi - entro le prime due settimane di ottobre. Altrimenti va a rischio il governo. È una tappa essenziale che si porta dietro l'approvazione di una legge elettorale proporzionale. Se si rispetta questa tabella di marcia non vedo rischi per l'esecutivo. Renzi è un cavallo pazzo, ma se per lui la questione sono le nomine, ci chieda quali e troveremo un'intesa».

Il day after del nuovo governo e della scissione renziana è caratterizzato da una serie di scosse di assestamento. Scosse che non puntano a terremotare il governo, ma a ridisegnare la geografia politica. E quelli che più si muovono sulla scena, che hanno le idee più chiare sono i due Matteo: Renzi e Salvini. Gli altri per ora sono spettatori attoniti, confusi, disarmati. «Solo loro due - ammette seduto su un divano del Transatlantico l'ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dell'esecutivo gialloverde, Giancarlo Giorgetti - una strategia per il futuro. Nei prossimi 5/6 mesi ne vedremo delle belle. Gli altri, invece, su entrambi i versanti, hanno nostalgia di un passato che non c'è più. Poi, naturalmente, anche i due hanno fatto i loro errori. Salvini, ad esempio, avrebbe dovuto tentare il voto anticipato insieme alle Europee, o, al massimo, una settimana dopo. Dopo quella data non si è accorto che la strada era sbarrata».

Errori a parte, per inesperienza o per carattere, sono comunque sempre Matteo S. e Matteo R. a tenere in mano le redini del gioco. E ora la posta è la legge elettorale. Salvini vuole sventare un progetto, il proporzionale, che lo emarginerebbe: cioè esattamente il progetto che ha in mente Renzi. È il principale obiettivo del nuovo partito, «Italia viva», che piano piano mette radici. I numeri in Parlamento cominciano ad essere seri: 27 deputati e 16 senatori. E l'operazione, che punta ad attrarre tutto ciò che al centro dello schieramento politico, continuerà nel tempo, anche scontando qualche incidente di percorso: ad esempio, oggi si è capito che Luca Lotti, che nell'ultimo mese ha contattato diversi parlamentari, lavorava per sé (sembra incredibile) e non per Renzi. Cose che capitano in politica. «L'idea, comunque - ha spiegato ai suoi il leader di Italia viva - non è quella di strafare. Magari ne arriveranno due in più in ogni mese. Ciò che conta è essere decisivi».

Capi politici del nuovo movimento saranno alla Camera Ettore Rosato e al Senato Teresa Bellanova. La prima battaglia sarà proprio la legge elettorale. Ed è la consolazione che rende in realtà meno indigesta la scissione dentro il Pd. «La scelta di allargare il consenso e la rappresentanza - osserva Piero Fassino - mi trova d'accordo. Mi fa paura solo il carattere di Renzi. Spero che si ricordi i fondamentali della politica. In fondo pure Zingaretti ha capito alla fine che le elezioni anticipate erano uno sbaglio. Ha capito anche che avrebbe dovuto accettare Conte, perché in politica non si pongono veti per non subirli. E magari avessimo evitato il veto anche a Di Maio come vicepremier, ora non ce lo ritroveremmo in un ruolo ben più delicato!».

Cose passate. Adesso la madre di tutte le battaglie è la legge elettorale proporzionale. L'opzione che Salvini vuole evitare ad ogni costo, con lusinghe e minacce. A parte l'arma del referendum sul maggioritario, che difficilmente supererà l'esame della Consulta, la battaglia, inutile nasconderselo, si svolgerà in Parlamento. Motivo per cui il leader leghista sta tentando una campagna acquisti in grande stile sia verso i grillini, sia verso Forza Italia. Il deputato Antonio Martino, con un trascorso da rugbysta, addirittura, è stato contattato da un vecchio compagno di squadra di simpatie leghiste. Mentre a Simona Vietina gli emissari del Carroccio hanno proposto di entrare in lista nelle prossime elezioni regionali in Emilia.

Già, Forza Italia è diventata territorio di conquista. C'è un turbinio di incontri e di cene anche se, pubblicamente, nessuno si sbilancia. «Né con Salvini né con Renzi - ripete Mara Carfagna - ma è chiaro che il nuovo partito di Renzi diventa un competitor per noi. E dobbiamo attrezzarci». E se c'è chi è ammaliato da Salvini, su questo versante si pensa alla creazione di un'associazione, ad un dialogo con ciò che nasce al centro, compreso Renzi, ad una presenza maggiore nel vertice del partito. Tante parole, ma alla fine, la vera cartina di tornasole, è la posizione sulla legge elettorale. «Io - scandisce il senatore Mallegni - sono per una legge proporzionale con preferenze. Collegata all'elezione diretta del capo dello Stato. Se Berlusconi mi chiede il maggioritario? Ciaooo!». «Proporzionale o morte» è il grido di Cosimo Sibilia.

In mezzo c'è Berlusconi che sta a guardare. Che incontra Salvini e dialoga a distanza con Renzi. Al coordinatore del Piemonte, Paolo Zangrillo, il Cav prospetta una svolta «maggioritaria»: «Invertiamo l'attuale legge: due terzi di maggioritario e un terzo di proporzionale». Con Gianfranco Rotondi, invece, è più problematico. «Con il proporzionale - tenta di sedurlo l'interlocutore - ti tieni le mani libere, puoi decidere alla fine». Il problema del Cav, però, è un altro: «Ma fino ad allora che dico a Renzi?». «Che il rapporto con lui - è il consiglio del dc Rotondi - è condizionato dal suo ingresso nel Ppe: prima non se ne parla». «Buona idea!», è la chiosa del Cav. Insomma, Berlusconi ha due anime, come Forza Italia.

E magari ha ragione il fido Gianni Letta, che nella confusione generale gli consiglia di essere uno e bino, di benedire urbi et orbi.

Commenti