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Orgoglio e pregiudizio

Purtroppo nel nostro Paese è tradizione che di fronte a una tragedia, insieme ai piani di soccorso, cominci subito la ricerca delle responsabilità

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Purtroppo nel nostro Paese è tradizione che di fronte a una tragedia, insieme ai piani di soccorso, cominci subito la ricerca delle responsabilità indipendentemente dall'entità dell'emergenza, con a ruota l'iniziativa di qualche procura spinta da desideri di protagonismo. Se quanto è accaduto in Emilia-Romagna in questi giorni fosse successo in Calabria, Piemonte, Lombardia o in qualsiasi altra regione governata dal centrodestra, ci sarebbe stata subito la polemica politica ad innescare una simile perversione. Almeno una volta, com'è giusto e come dovrebbe essere sempre, non è andata così: si sono messe in moto azioni collettive di solidarietà e di intervento per trarre in salvo le popolazioni colpite e arginare il dramma in una Romagna messa in ginocchio dalla violenza delle precipitazioni (in due giorni è caduta tutta la pioggia che normalmente si registra in tre mesi). Il governo si è dato subito da fare lavorando gomito a gomito con il governatore Bonaccini e la Protezione civile ha cominciato a coordinare i soccorsi. Insomma, è andato in scena il «sistema» Paese. In fondo, quando ci mettiamo di buzzo buono, lasciamo le polemiche fuori dalla porta, siamo più che capaci. Per la gestione delle emergenze possiamo dare lezioni agli altri. Con orgoglio. Poi ci saranno anche problemi di fondo: pochi invasi per trattenere l'acqua, magari non ripuliti dai detriti e una siccità che ha moltiplicato i rischi. Ma è arduo se non impossibile prevenire eventi straordinari di questa portata. Semmai, ciò che è accaduto può indurci ad una riflessione: rispetto al dibattito sul Pnrr, a chi sostiene che abbiamo troppi soldi che non sappiamo come spendere, quanto è accaduto fornisce la prova che semmai sono sempre pochi se si vuole mettere al riparo un Paese come il nostro, che purtroppo ha un assetto idrogeologico a dir poco complesso.

Le questioni, insomma, sono tante, ma l'elemento essenziale per far fronte a simili tragedie è l'unità del Paese. A tutti i livelli. Anche in politica. Senza pregiudizi e senza cedere alla tentazione delle speculazioni. I problemi vanno affrontati per quello che sono, già sono difficili di per sé e in certi frangenti non è proprio il caso di aggiungerci dosi massicce di ideologia o prese di posizione precostituite. Semmai c'è bisogno di un'iniezione di fiducia visto che tra pandemie, guerre e alluvioni non abbiamo pace. Fiducia in quello che siamo. In fondo, per passare ad un altro argomento, la critica più assurda che si fa al progetto del Ponte di Messina, tra le tante che possono essere legittime, è quella di chi liquida quest'ambizione con la frase più stupida e supponente che ci sia: tanto non si farà mai. Un pregiudizio di fondo che mortifica il Paese, le sue capacità, la sua voglia di progredire. Noi abbiamo imprese che realizzano opere eccezionali in tutto il mondo, ponti, dighe, ferrovie, ma da noi diventa tutto difficile, per la vulgata di una certa politica addirittura impossibile. Una diffidenza condita dalla prudenza claustrofobica di chi spiega che prima ci sono altre cose da fare.

È un modo per tarparsi le ali, uno spirito suicida per qualsiasi nazione e che fa un torto a quell'Italia che già si è tirata su le maniche di camicia e ha calzato gli stivali di gomma per ridare speranza alla Romagna.

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