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Ormai soltanto la sete può sfuggire al Fisco vampiro

Ormai soltanto la sete può sfuggire al Fisco vampiro

Chi beve solo acqua o ha un segreto da nascondere, come scriveva Baudelaire, oppure vive in Italia. Dove evidentemente comanda una specie di Temperance movement clandestino che, come nell'America proibizionista, sta cercando di convertire tutti i cittadini al sobrio e forzato consumo di sola H2O a forza di tasse su ogni altro liquido potabile.

L'idea del premier Conte di introdurre un'imposta sulle bibite gassate (come se il discrimine fossero le bollicine e non gli zuccheri, poi) ha diviso l'opinione pubblica. I diabetologi esultano, dato che avevano già chiesto al ministro Grillo una tassa del 20% per limitarne il consumo eccessivo e pericoloso. Produttori, consumatori ed esperti di fiscalità invece - protestano o sono dubbiosi per una misura che nasconderebbe, dietro un inutile paternalismo da Stato etico, il solito gusto amaro del fare cassa sui consumi.

Ma, al di là di cedrate, chinotti e gassose, se si fa un rapido tour fra le bevande a disposizione ci si rende conto che non sono molte quelle estranee a tassazioni più o meno ammantate di moralità. Per esempio, se la nuova imposta colpisse tutte le bibite zuccherate, anche succhi di frutta, yogurt da bere, aperitivi analcolici, sciroppi, energy drink, caffè freddo in lattina e thè al limone o alla pesca rientrerebbero nei liquidi da punire.

Pazienza, dirà l'assetato contribuente, mi farò una birretta. Peccato che la birra sia l'unica bevanda da pasto ad avere una bella accisa specifica: 2,99 euro per ettolitro e per grado Plato, dal primo luglio ridotta del 40% per i birrifici artigianali che non superano i 10mila ettolitri di produzione. Va un po' meglio per il vino, considerato tradizionalmente prodotto di consumo e, come tale, sottoposto «solo» all'IVA del 22%, senza però la riduzione che spetta ad altri alimenti.

The e caffè (senza zucchero, ovvio) sembrano esclusi dalla furia tassatrice, dato che ad esempio le cialde godono dell'aliquota agevolata al 10%. Ma qui entra in gioco il fair play generale. Il pubblico è sempre più sensibile infatti alle istanze di commercio equo e solidale. Secondo una ricerca Nielsen, il Fairtrade in Italia va alla grande e nella fattispecie il consumo di caffè «al giusto prezzo» è cresciuto del 10%. Pagare di più per non sfruttare le comunità di coltivatori e raccoglitori è giusto, ma è un altro costo per chi lo beve.

Tralasciando i vermut e i vini fortificati e la loro accisa di 88,67 euro per ettolitro e soprattutto i superalcolici (ben 1.035 euro per ettolitro anidro), non ci resta che l'acqua. Forse. Perché l'acqua minerale in bottiglia di plastica ormai è il demonio e il fantasma di Greta verrà di notte ad annegarci in sonno se solo ci azzardiamo a guardarla al supermercato. E quella del rubinetto, tanto buona, etica e soprattutto quasi gratis, fra poco non lo sarà più. In Italia infatti un metro cubo d'acqua costa in media 1,37 euro contro i 4 di media europea. La quota fissa e i costanti rincari in bolletta, dunque, sono per noi fastidiosi, ma risibili se paragonati agli altri Paesi. E generano problemi, perché un costo troppo basso porta a scarsa manutenzione della rete e conseguenti grandi perdite. Morale: in molti già chiedono un aumento delle tariffe per ridurre lo spreco di una risorsa così importante.

Sicché, tra esigenze di bilancio e pulsioni ecologiste, il cerchio della tassazione a pioggia sarà chiuso e si passerà finalmente all'ultimo stadio: dall'attuale dittatura dell'acqua alla dittatura della sete.

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