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Paragone, da Bossi a Dibba l'anticasta vuole il Ministero

Il senatore ex leghista scarica Di Maio e annuncia le dimissioni da parlamentare

Paragone, da Bossi a Dibba l'anticasta vuole il Ministero

Occhio che Gigi «La Trottola» Paragone si è rimesso in moto. Da uno passato dalla Lega secessionista di Bossi al M5s assistenzialista di Di Maio, transitando dai salotti elitari di Della Valle per poi cavalcare la protesta contro le élite, ci si può aspettare di tutto. L'ex direttore della Padania, divoratrice di finanziamenti pubblici all'editoria - salvo poi scoprirsi contrario ai finanziamenti pubblici all'editoria da senatore M5s -, ha fiutato la brutta aria nei Cinque stelle ed è subito corso a riposizionarsi. Ha già mollato Di Maio, cavallo perdente, anche se l'anno scorso lo lisciava come unico candidato «titolato per Palazzo Chigi», e si è immediatamente accodato a Di Battista, nel senso che si è proprio incollato al sellino del suo scooter. Rinfaccia a Di Maio gli errori («Quattro poltrone sono troppe: se vuoi fare Superman devi esserlo»), è pronto a mettere le dimissioni nelle sue mani (sì, ma per finta: «Se mi dice di restare resto, proprio perché c'è ancora un rapporto di fiducia»), è proprio deluso Paragone, «la mia paura non è che abbiamo perso voti, ma se abbiamo bruciato dei sogni». Anche i suoi, di sogni. Tipo quello di fare il ministro, carica a cui teneva molto e per cui sembrava davvero predestinato in un governo M5s-Lega in quanto unico grillino-ex leghista della compagnia, e invece niente, si è dovuto accontentare di una misera presidenza di commissione sulle banche da quell'ingrato di Luigino, mentre fanno i ministri Toninelli, la Lezzi, Bonafede che nemmeno sanno suonare la chitarra e non hanno mai fatto i vicedirettori Rai in quota Umberto Bossi. Sì, perché nella lunga battaglia contro la Casta di Paragone c'è anche l'essersi imbucato in Rai, con raccomandazione leghista. Fece un programma che già dal titolo, Malpensa Italia, era un omaggio al suo datore di lavoro, la Lega varesina.

Per non sbagliare, a quel tempo, a Paragone piaceva molto anche Silvio Berlusconi, allora casualmente premier. In un sondaggio fatto dal quotidiano Il Riformista, Paragone votò Berlusconi «miglior politico del mondo», manco d'Italia («E se il berlusconismo avesse una dimensione internazionale? Mai mettere limiti a Silvio», slurpò). Poi, un giorno, durante un aperitivo sullo yacht di Della Valle, ha avuto l'illuminazione: difenderò la povera gente oppressa dalle élite neoliberiste. Per farlo si è accordato per 300mila euro di stipendio a La7 come conduttore della Gabbia, un incubatore di nuovi mostri da talk show sovranista e un amplificatore di paranoie complottiste tipicamente grilline (i vaccini, il signoraggio bancario, l'euro), quindi un ottimo biglietto da visita per poi proporsi a Casaleggio e Di Maio come candidato al Parlamento, quando a La7 l'hanno fatto fuori. Infatti, subito messo in lista in quota grillino ad honorem della «società civile», dopo essere stato scelto come presentatore della kermesse Italia Cinque Stelle a Rimini, dove venne data ufficialmente l'investitura a Di Maio come candidato premier. Lì Paragone cantava pure, con la band «SkassaKasta».

Una serenata per i vertici M5s che infatti hanno ascoltato la richiesta di entrare nella Kasta pentastellata. Grazie alle sue indiscusse capacità di scalatore di posizioni, pur da ultimo arrivato, Paragone è entrato rapidamente nella stanza dei bottoni del M5s ed è stato incluso nella cerchia ristretta dei fedelissimi del nuovo partito di Luigino. «Gianluigi Paragone è la nuova stella su cui punta il M5s», ha titolato L'Espresso, contando che l'ex direttore della Padania «è in assoluto il grillino con più visibilità sui social dopo Di Maio. Molto più del premier Conte e dei ministri». E chiedendosi: «Sarà lui il nuovo Di Battista del Movimento di Di Maio, di cui è un fedelissimo?». In alternativa, può fare il Paragone del nuovo Movimento di Di Battista.

O tornare a bussare alla Lega.

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