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Perché la legislatura durerà

Perché la legislatura durerà

Nel Transatlantico delle grandi occasioni, il piddino Andrea Orlando, uno degli artefici del nuovo corso, parla delle logiche, degli obiettivi, delle prospettive di vita del governo appena nato. Addirittura tenta di dare una risposta ad un mistero che compete con quelli di Fatima o con la reincarnazione del Buddha: la morte del Conte gialloverde che si rimaterializza e rivive nel Conte giallorosso. «Il governo durerà è la sua profezia e non perché c'è Conte, cioè per la nuova suggestione mediatica, ma durerà perché ha il compito di superare un sistema ibrido come l'attuale, due terzi proporzionale e uno maggioritario, che manda in cortocircuito politica e comunicazione, in cui c'è chi scambia la dialettica parlamentare per ribaltoni e tradimenti. Un compito democratico. Non sono entrato nel governo insieme a Franceschini, solo perché avrei aperto un varco agli altri del Pd che sono stati al governo insieme a me. Non era il caso». Ragionamenti che echeggiano sulla bocca di Guglielmo Epifani, ex segretario Cgil e ora in Liberi e Uguali, altro azionista del governo. «È un esecutivo che reggerà osserva perché dietro c'è un disegno politico condiviso da noi, dal Pd, dai grillini, da Renzi e che non dispiace a Forza Italia: emarginare o normalizzare il sovranismo. Un disegno politico più convincente di quello del governo gialloverde. Conte va avanti perché, come un surfista, riesce a cavalcare quest'onda. La nostalgia del maggioritario? Solo un portato del passato». Altri due passi e, guarda caso, ritrovi lo stesso schema nelle congetture di un neo ministro grillino, Stefano Patuanelli, successore di Di Maio allo sviluppo economico. «La parte solida di questo governo spiega non è il programma, ma il progetto politico che c'è dietro».

Appunto, l'«emarginazione» o la «normalizzazione» del sovranismo in salsa italiana, in altre parole del «salvinismo» nostrano. Questo è l'obiettivo del governo Conte. Tutto il resto per citare Califano è noia. Con questa chiave di lettura comprendi molte cose: la piazza agitata dalla Meloni e da Salvini; Conte che si presenta al Paese e all'Europa come il paladino dell'anti-sovranismo, un ruolo che reputa talmente forte da schernire la Lega; lo scontro infernale scatenato nel dibattito parlamentare dalle nuove opposizioni. Tutto si gioca sull'istinto di sopravvivenza: l'istinto che ha spinto Renzi ad abbracciare Di Maio per evitare elezioni anticipate che avrebbero raso al suolo entrambi; l'istinto che spinge un Salvini, incappato nella trappola letale, ad alzare i toni della sfida. Già, perché il meccanismo messo in piedi non prevede due vincitori: o i giallorossi cambiano prima delle prossime elezioni lo scenario politico con la riduzione dei parlamentari e l'introduzione del proporzionale; o Salvini si prenderà la rivincita. Ma proprio perché la «posta in gioco» è l'emarginazione del «sovranismo», è difficile che chi impugna ora il coltello dalla parte del manico se lo farà portar via. «Entro ottobre è la tabella di marcia dell'uomo forte del Pd nel governo, Dario Franceschini approviamo la riduzione dei parlamentari e, nel contempo, depositiamo o, addirittura, incardiniamo il testo della legge elettorale».

Insomma, tutto è scadenzato. E tutto si sacrifica ed è subordinato ad un disegno ispirato dall'istinto di sopravvivenza: le gelosie, le incomprensioni, gli scontri personali lasciano il campo alla paura di un ritorno di Salvini. Per cui un Di Maio, che nell'aula di Montecitorio sfoggia il broncio, si sfoga con i suoi, specie con gli esclusi dal governo, e chiede «venia» per non aver strappato al Pd ciò che doveva. E, addirittura, si spoglia da ogni colpa e si atteggia a vittima: «Nel momento più fatidico della trattativa con il Pd è il suo lamento Grillo e Conte mi hanno sparato alle spalle». Beh, può essere arrabbiato e recriminare quanto vuole, ma non va oltre, dato che nella sua testa il nemico è Salvini. Semmai per dimostrare che ancora lui è l'uomo forte del movimento, dopo aver imposto il fedele Fraccaro a sottosegretario alla Presidenza del consiglio, e il leale Patuanelli al Mise, si prepara a tenere per sé la delega del Commercio Estero. Così, a conti fatti, avrà due ministeri. Come prima. Un discorso che vale anche per Alessandro Di Battista, che ha confessato ad un amico: «Io ero contro questo governo. Poi Di Maio mi ha chiesto di non dirlo in pubblico e mi ha proposto di far parte della squadra. Dopo 24 ore mi ha chiamato Patuanelli per dirmi: Ale il Pd ti fa entrare nel governo solo se insieme a te entra la Boschi. E io gli ho risposto: Neanche morto!». Sfoghi, appunto, dato che le alleanze del movimento sono mutate di 180 gradi e, contrordine compagni, il nuovo nemico è il sovranismo, per cui non sono permesse diserzioni. Discorso che coinvolge pure un'altra grillina di peso come Laura Castelli: «Il Pd ha posto un veto su di me per un ruolo di ministro. E così resterò vice ministro all'economia, anche perché sono l'unica ad aver maneggiato finora i dossier della legge di bilancio».

Già, i malumori non possono distrarre dal bersaglio principale: Salvini. E la presunta vittima forse solo ora si è resa conto degli errori commessi: ma come, il governo gialloverde nasce per il «no» di Renzi all'alleanza tra grillini e Pd e Salvini, un anno dopo, punta all'intesa con Zingaretti per far fuori l'altro Matteo?! È come tagliare il ramo su cui si è seduti, con l'arroganza di chi sfida la forza di gravità, o per un eccesso di spregiudicatezza. «Delirio di onnipotenza», è la diagnosi più semplice di Fabio Rampelli, uomo della Meloni. Solo che è difficile che in Parlamento il leader del Carroccio possa raddrizzare la situazione. «Nella fiducia al Senato profetizza Denis Verdini, mago dei numeri, con il distacco dell'osservatore appassionato di politica - il governo avrà 178 voti. Va detto, però, che molti, se non tutti, avevano consigliato a Salvini di rompere con i grillini; gli stessi che ora gli rimproverano l'errore. E questo francamente non sta bene».

È una verità: basta leggere i giornali degli ultimi sei mesi. Nel contempo, però, nessuno può negare che il leader del Carroccio ha coltivato nell'ultimo periodo una sorta di culto della personalità alimentato dai sondaggi, dell'uomo che parla direttamente con il Paese e può decidere tutto da solo. «Ci ha schifato per un anno, mentre la Meloni giocava con noi a ruba mazzetto», è stato il j'accuse pronunciato ieri da Renato Brunetta davanti ai parlamentari azzurri. Con il Cavaliere che annuiva. Quel Silvio Berlusconi che sa come vanno le cose nella vita, che è deluso e adirato. Deluso per il dilettantismo dimostrato da Salvini nei rapporti internazionali. Adirato per l'ingratitudine nei suoi confronti: «Se non ci fossi stato io ha rammentato il passato certe forze sarebbero ancora fuori dall'arco costituzionale (ndr. la Meloni)». Ora, invece, altre sono ai margini del consesso internazionale (ndr.

Salvini e la sua esperienza gialloverde): «Qualche settimana fa ha raccontato il Cavaliere - la Merkel mi ha chiesto sgomenta: Ma come avete fatto ad affidare a gente del genere un Paese bello come l'Italia?!».

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