Cronache

Predappio, la città del Duce che rischia di scomparire

Con la fine del fascismo Predappio diventa “la Chernobyl della storia”. Mentre la “fascistissima” Asmara viene riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco, le risorse necessarie alla conservazione di questo tesoretto architettonico espressione del Ventennio continuano a non arrivare. Il grido di dolore del sindaco dem: "Ci hanno abbandonato"

Da Wikipedia
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A Predappio si parla una sola lingua. E non importa se, sullo stemma cittadino, è comparso un grappolo d’uva al posto del fascio littorio. Basta mettersi al centro della piazza principale, chiudere gli occhi, ed ascoltare il sussurrio delle pietre. La fronte rivolta verso nord, nella direzione in cui il corso fugge dalla facciata monumentale della chiesa di Sant’Antonio. La cui prima pietra venne posta nel 1925 e l’ultima il 28 ottobre di nove anni dopo, nel giorno dell’anniversario della Marcia su Roma. A sinistra Palazzo Varano, ex rudere dove trascorse la sua infanzia Benito Mussolini, spicca dall’alto dei suoi giardini. Più in giù, il marmo squadrato della Casa del Fascio è lì a ricordare l’infinita stagione di abbandono della città (Guarda il reportage da Predappio).

Non solo “pellegrinazi” e gadget di Mussolini

Insomma, questo luogo non parla la lingua dei cosiddetti “pellegrinazi” e dei negozietti di gadget mussoliniani, per cui è diventato famoso, ma quella della storia del Novecento. E non avrebbe nulla da invidiare agli edifici in stile razionalista e art déco della “fascistissima” Asmara, da poco riconosciuta come patrimonio dell’umanità dall’Unesco, se non fosse che qui siamo in Italia. Paese in cui, ogni giorno, una Laura Boldrini si sveglia e decide di mettere all’indice un monumento a caso, purché sia di epoca fascista, per paura di urtare la sensibilità di qualche vecchio partigiano. Decisamente più illuminato è l’atteggiamento del suo “compagno” di partito, il sindaco dem Giorgio Frassineti, impegnato da almeno due mandati nella solitaria opera di valorizzazione di questa eredità. Ma non è facile.

Predappio: “La Chernobyl della storia”

“Da quando Mussolini viene appeso ad un distributore di benzina – spiega Frassineti a Il Giornale.it – a Predappio non viene più nessuno, anzi la piccola Predappio adesso la deve pagare, perché ha disonorato l’Italia”. E gli amministratori che – dal ‘45 ad oggi – si sono avvicendati alla guida della città sono stati abbandonati. Predappio diventa così “la Chernobyl della storia”. E ad oltre settant’anni dalla fine della guerra, le risorse necessarie alla conservazione di questo tesoretto architettonico espressione del Ventennio continuano a non arrivare. Nel frattempo però il parlamento s’ingegna per estendere la Scelba e la Mancino mettendo nel mirino gli accendini del duce. “Ma non sarebbe meglio investire sulla cultura?”. Frassineti è allergico ai divieti e preferirebbe inserire la città natale di Mussolini “in una rete europea fatta di luoghi che, tutti quanti assieme, restituiscono una topografia del Novecento”. A partire proprio dalla Casa del Fascio che, nelle intenzioni del primo cittadino, dovrebbe diventare un polo museale dal quale poter finalmente guardare la storia con la giusta distanza. Ma da solo non ce la può fare. Anche perché “il patto di stabilità è inflessibile, tutti i soldi che ho in conto capitale se ne vanno per la manutenzione di case e strade”. Che fare? Occorre rimboccarsi le maniche e trovare una soluzione. Così Frassineti è riuscito a trovare due milioni di euro per avviare i lavori “che – annuncia – partiranno quest’anno”. Ma non bastano perché il progetto è ambizioso, “ne mancano altri tre e spero che il governo me li possa dare. È l’unica strada percorribile.”

La “lezione portoghese”

Non possiamo più nasconderci dietro nuove leggi e divieti. Ce lo insegnano le 389 piastrelle portoghesi che compongono un affresco unico nel suo genere. Su quelle azulejos lusitane, dipinte nel 1927 e custodite nella scuola materna di Predappio, l’arte sacra sposa quella di regime e due angeli porgono alla Madonna un fascio littorio. L’opera si lascia ammirare ed insegna. Si è miracolosamente salvata dalle devastazioni del dopo 25 aprile grazie all’astuzia di una suora. “Quando è caduto il fascismo – racconta suor Maria Teresa – i partigiani la volevano distruggere, allora suor Natalia ha disegnato delle rose dove c’è il fascio”. Solo quando il clima si è tranquillizzato, le rose di suor Natalia sono state rimosse ed oggi l’affresco si può ammirare nella sua interezza.

Ecco, sarebbe bello se questo, prima o poi, valesse anche per la prospettiva storica.

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