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Il problema sono gli errori, non i vestiti

Il problema sono gli errori, non i vestiti

Se vuoi offendere un avversario, lodalo a gran voce per le qualità che gli mancano, diceva Ugo Ojetti. Il neo ministro dell'Agricoltura Teresa Bellanova prova a sfuggire con eleganza dall'angolo del fango dove i soliti leoni da tastiera dei social la vogliono confinare. Ma se è ingiusto giudicare una persona dall'aspetto fisico, soprattutto una donna, è altrettanto ingiusto che la solidarietà che il mondo politico sta giustamente offrendo all'ex sottosegretario al Lavoro renziana ricacci nell'oblio le pesanti responsabilità politiche della Bellanova. Sono lontani i giorni in cui i grillini ne chiedevano addirittura le dimissioni. Nel 2014 il deputato M5s Walter Rizzetto tirò fuori un ex addetto stampa del Pd leccese, collaboratore dell'ex leader dei braccianti agricoli Cgil pugliesi, che a suo dire avrebbe di fatto lavorato in nero per 3 anni - quale nefandezza più infamante per una sindacalista - e di aver mentito in tv alla Gabbia dicendo che non era vero. Qualche mese fa il tribunale le ha dato ragione. Il rapporto di lavoro con il giornalista c'era ma non si configurava come rapporto subordinato. Chi conosce il nostro mestiere non sarà d'accordo con questa sentenza, ma tant'è. Da sindacalista giurò che mai il Pd avrebbe abolito l'articolo 18, poi è diventata la migliore sponsor del Jobs Act renziano, tanto da subire minacce anche dai suoi stessi ex colleghi di sindacato e adesso gira sotto scorta. Nella trattativa per l'Ilva si ricorda un memorabile scazzo con il sindaco di Taranto, che infuriato lasciò il tavolo delle trattative. Ma il vero guaio la Bellanova l'ha combinato nel 2016 nella famigerata trattativa su Almaviva, la multinazionale dei call center. Dei 3mila posti di lavoro in ballo alla fine se ne persero 1.666. Fu il più grande licenziamento di massa che si ricordi. Ieri su Twitter sono tornati gli spettri di quell'accordo mancato. I suoi tweet festosi in piena trattativa («Abbiamo salvato tutti i posti di lavoro»), i complimenti del mondo politico e poi l'epilogo finale: #Almaviva profonda amarezza. Nonostante ultimo tentativo su Roma non si revocano licenziamenti. I lavoratori dovevano essere ascoltati prima. Già. Peccato che a imbufalirsi con l'esponente renziana siano stati proprio loro, i ragazzi del call center rimasti a casa. In 250 hanno presentato un ricorso al giudice del lavoro che la chiama pesantemente in causa assieme ai vertici dell'azienda per «concorso in estorsione». L'accusa degli ex Almaviva alla Bellanova è quella di aver imposto ai sindacati un contratto-capestro che avrebbe ridotto ad alcuni lo stipendio fino a meno di 500 euro al mese. Il suo problema non è certo il guardaroba.

Casomai gli scheletri nascosti tra i suoi bellissimi vestiti.

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