Cronache

Quando il nostro Dna segnala il rischio di contrarre un tumore

Con il «genotest» possono essere messe in atto misure capaci di portare a una diagnosi di cancro allo stadio iniziale e, quindi, meglio curabile

di Luigi Cucchi

La medicina predittiva rappresenta la più diretta conseguenza della nostra conoscenza del genoma umano. È un modello che si applica a individui sani e il suo scopo non è la guarigione come per la medicina curativa, quanto piuttosto la scoperta di alterazioni genetiche a livello del Dna che potrebbero essere utili per identificare soggetti a rischio di tumore. Consente, quindi, di mettere in atto una serie di misure di prevenzione che possono portare a una diagnosi di cancro in uno stadio iniziale e, quindi, molto meglio curabile o addirittura evitabile con una serie di interventi quali l'aumento della frequenza dei controlli, l'adozione di stili di vita sani.

Parliamo di medicina predittiva e delle sue reali prospettive con il professor Umberto Tirelli, direttore del Dipartimento di oncologia medica del Centro di riferimento oncologico all'Istituto nazionale tumori di Aviano (Pordenone). Tirelli è un apprezzato oncologo medico anche a livello internazionale, fa parte del comitato direttivo della Favo, la Federazione delle 500 associazioni di volontariato in oncologia.

«Il risultato dei test predittivi – precisa Tirelli - può non essere definitivo. Il test non sempre consente di stabilire quando e a quale livello di severità il soggetto si ammalerà. Già sappiamo che i tumori sono multifattoriali e, pertanto, non solo i geni sono importanti ma anche l'ambiente: il fumo, l'obesità, l'abuso di alcool, l'inquinamento. I candidati al genotest sono coloro che hanno in famiglia pazienti affetti da cancro della mammella, cancro dell'ovaio, carcinoma del colon retto e carcinoma della prostata; e più parenti sono affetti da queste patologie maggiore è l'indicazione a fare a questo esame».

Il genotest ha le potenzialità di fornire anche trattamenti che salvano la vita come nel caso dell'attrice Angelina Jolie.

«Il nostro patrimonio genetico contiene geni capaci di favorire oppure d'altra parte tenere a bada il tumore (oncogeni e oncosoppressori) oltre ad altri geni che in alcuni casi possono mutare e dare il via libera al cancro. Nel tumore del colon retto – aggiunge il professor Tirelli - è ormai chiaro che esistono forme di tipo ereditario nelle quali i genitori trasmettono ai figli un gene difettoso che con il tempo può dare origine alla malattia. È più probabile che un tumore del colon retto sia ereditario se nella famiglia di origine si sono manifestate alcune malattie che predispongono alla formazione di tumori intestinali. Tra queste, vi sono le poliposi adenomatose ereditarie legate alle mutazioni in un gene oncosoppressore e la carcinosi ereditaria del colon retto su base non poliposica che è, invece, dovuta a problemi nei geni che si occupano di riparare il Dna in caso di errori. Esistono anche casi in cui le mutazioni che causano il tumore non vengono ereditate ma si presentano nel corso della vita di una persona che è nata senza quel difetto. Il genotest per scoprire i tumori sulla base dei dati genetici che derivano dal Dna potrebbe essere importante anche per coloro che hanno già sviluppato un tumore, in quanto si può valutare la loro suscettibilità a sviluppare un altro tumore sempre dello stesso tipo o, comunque, valutare il rischio dei loro familiari di sviluppare questo tipo di tumore».

Successivamente all'esecuzione del test, che consiste in un semplice prelievo di saliva, un oncologo esperto sulla base del rischio che giungerà dal genotest (basso, intermedio, alto) in tre mesi, darà le dovute informazioni e consigli sul come procedere.

«Vi possono essere sviluppi del genotest anche ai fini terapeutici. I pazienti affetti dai tumori – ricorda sempre il professor Tirelli - potrebbero, se non l'hanno già fatto, procedere alla valutazione del genotest per sapere se sono eleggibili per un trattamento oncologico sulla base della loro alterazione genetica.

Questo aspetto clinico è nelle sue prime fasi di valutazione ma potrebbe essere una grande opportunità terapeutica del futuro».

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