Cronache

Quei narcos italiani latitanti arrestati grazie a un tweet

La coppia di narcotrafficanti braccata dalla polizia di due continenti, inafferrabile persino dai “cartelli” concorrenti, si tradisce con Twitter

Quei narcos italiani latitanti  arrestati grazie a un tweet

Li cercavano dal 2011. Ma la coppia di narcotrafficanti braccata dalla polizia di due continenti, inafferrabile persino dai “cartelli” concorrenti, si tradisce con Twitter. Si, è bastato un tweet lanciato in rete per far scoprire il loro rifugio dorato, a Bogotà. Una storia di quintali di cocaina, sequestri di persona, fughe notturne dagli uomini migliori della polizia italiana e colombiana. Adesso, dopo cinque anni di latitanza, Fabio Albini, 48 anni, e Gloria Teresa Torres Aponte, la moglie di 59 anni, sono finiti in carcere.

Le accuse? Traffico intercontinentale di sostanze stupefacenti. Su di loro pendeva un’ordinanza di custodia cautelare spiccata dalla Procura di Roma, poi rafforzata da una richiesta di arresto della Procura Distrettuale Antimafia della capitale. A dare il via alle indagini l’arresto, nell’aprile del 2008, all’aeroporto di Fiumicino di una coppia di operai addetti alla riconsegna bagagli. I due cercavano di far uscire dai gate una valigia zeppa di polvere bianca: 11 chilogrammi destinati al mercato del centro sud.

A ordinare il carico due distinte organizzazioni criminali. Il sequestro crea non pochi problemi sia ai narcos locali che a quelli fornitori, in Colombia. In particolare a uno dei due gruppi fanno capo Albini e consorte assieme ad altri quattro soggetti. La banda importa cocaina in quantità industriale utilizzando spesso doppifondi ricavati all’interno dei carrelli portavivande imbarcati su aerei provenienti da Caracas. Fondamentale la collaborazione di impiegati delle compagnie aeree e aeroportuali. Durante le indagini vengono bloccati altri 15 chili di cocaina. Pedinamenti al cardiopalmo per i baschi verdi del Gico, il Gruppo investigativo criminalità organizzata della Guardia di Finanza. Un intermediario di un grosso carico di droga, il colombiano Luis Alberto Cardona Marulanda di 57 anni viene sequestrato e tenuto prigioniero in un casolare nelle campagne di Sutri, in provincia di Viterbo. All’uomo, ritenuto responsabile del mancato arrivo di un ingente carico di cocaina dall’Argentina, viene amputato un dito.

Nel luogo di prigionia i finanzieri trovano tre criminali italiani e oggetti appartenenti alla vittima del sequestro: telefoni cellulari, carte d’imbarco, un notebook e, soprattutto, macchie di sangue appartenente allo stesso. Gli investigatori italiani, nel frattempo, riescono a catturare altri 7 componenti la banda e incriminarli per traffico internazionale di droga. Albini e Torres sfuggono per un soffio alla retata. Gli anni passano, i due si sentono al sicuro. Tanto da condurre una vita agiata, tutt’altro che adatta alle esigenze imposte, di solito, dalla latitanza. Locali notturni, auto di lusso, viaggi di piacere e persino battute di pesca. Galeotto, è il caso di dirlo, un post su Facebook, seguito da un tweet sull’altro social network, in cui svelano la loro presenza a Bogotà. Lo scorso 12 luglio, finalmente, la cattura da parte della “policia” colombiana, in stretta collaborazione del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Direzione Centrale Polizia Criminale ed il National Central Bureau Interpol di Bogotà, in stretto coordinamento operativo con il Gico del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza. Cattura richiesta dalla Procura di Roma attraverso una rogatoria internazionale. I coniugi sono condannati a 18 e 10 anni di reclusione. All’atto dell’arresto Albini e Torres erano a passeggio nella zona sud di Bogotà. Un arresto eccellente, insomma, che segue a distanza di anni indagini al vetriolo che portarono ad altri arresti eccellenti. Come quello di un lidense, Igor Simmi, all’epoca 39 enne, estradato dal Costa Rica. L’uomo, anello di congiunzione fra i “cartelli” carioca e i trafficanti nostrani, era ricercato dalla polizia di mezzo mondo. Simmi viene arrestato in una pizzeria sul mare che lo stesso gestiva in Costa Rica. Un’attività di copertura per una raffineria di cocaina da spedire sotto forma di bottiglie di liquore.

L’accusa: traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Il teorema su cui indagano carabinieri, squadra mobile e Dia? Commercio in quantità industriale di droga liquida fra il Cearà, staterello nel nord del Brasile, e Ostia beach. Un unico collettore (con l’aeroporto di Fiumicino al centro) per fiumi di droga da importare e distribuire nel Bel Paese. Ad avviare l’inchiesta un’operazione antidroga come tante. Novembre 2001, hinterland lidense. I militari fanno irruzione in un appartamento di Acilia. In casa di Ruggero R., 50 anni, una bottiglia di rum appena sdoganata. All’interno della confezione, spedita ogni mese da un lontano parente, il mix stupefacente. Coca purissima disciolta in alcol identica a quelle già intercettate al Leonardo da Vinci. Un regalo dal valore di 150mila euro indirizzato a un pensionato. Strane spedizioni partite da Alajuela, San Jose o Guanacaste, senza mittente ma con lo stesso destinatario. Basta un controllo per accorgersi che, a differenza di quelle “regolari”, le bottiglie sono riempite fino all’orlo. Gli esperti non hanno dubbi: sciolto nel rum un chilo di cocaina della migliore qualità.

A confezionare la “premiata ditta” attiva in Costarica. L’arresto conferma ancora una volta Ostia come terminale numero uno per i feroci cartelli del narcotraffico. Brasile, Costa Rica, Venezuela, Colombia i capisaldi per attività da capogiro. Per farsi un’idea basta citare 4 operazioni investigative, oltre 50 fra ordini di cattura ed estradizioni, 12 morti ammazzati nella guerra per il monopolio dello spaccio. Una guerra fra narcos giocata fra vecchi e nuovi boss, gang locali e forze dell’ordine. La prima “spallata” per la nuova mala arriva con “Black Beach” prima e “Valleverde” dopo, le maxi inchieste che scardinano l’asse Caruana-Cuntrera, le famiglie in affari con i Gambino di New York e i sopravvissuti della banda della Magliana. Un superpentito, Raoul Riva, spiega ai magistrati i legami di sangue fra i siciliani emergenti e le cosche napoletane impiantate alla Marranella. Le acque di Ostia si fanno agitate e il primo a fuggire con gli “sbirri” alle costole è il fu Vincenzo “Chicco” Pompei, 40 anni, capo della banda Addis-Riva, fra i latitanti più pericolosi d’Italia. I morti sparati non si contano più, la droga importata e il denaro riciclato sul litorale pure. Pompei viene scovato, sempre nel 2001, in un albergo di San Paolo del Brasile.

Stessa fine, l’anno dopo, per Giuseppe “Poppy” Addis, 40 anni, tramite fra i narcos emergenti e i capi della Magliana, acciuffato in un paesino in Costa del Sol, Spagna.

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