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Repubblica sogna fascismi e dimentica Br e Prima linea

Repubblica sogna fascismi e dimentica Br e Prima linea

Ezio Mauro, che è stato per vent'anni direttore di Repubblica dopo il fondatore Eugenio Scalfari, ieri ha scritto un articolo sullo stesso quotidiano intitolato Normalità del fascismo 2.0. La tesi è questa: non importa se non esiste alcun rischio reale di ritorno a un regime dittatoriale come quello di Mussolini. Tuttavia, argomenta Ezio Mauro, qui c'è poco da discutere se i sedicenti neo-post fascisti siano o no fascisti, perché sono loro stessi che si definiscono così, fascisti, dunque lo sono e vanno considerati e trattati come tali. Segue una disamina dei caratteri di questo neofascismo, peraltro ondivaghi e occasionali come in tutte le democrazie del mondo occidentale, per impartire un solenne monito affinché la Repubblica nata dalla Resistenza affronti il problema riguardante la sua stessa natura democratica.

Dunque, dobbiamo affrontare un «fascismo 2.0» non perché esista davvero un pericolo fascista, ma perché sono in vita e agiscono delle persone che chiamano se stessi fascisti che fanno uso di violenza. Nessuna menzione del fatto che la violenza è usata molto di più e con danni ben più devastanti, dai centri sociali, dai black bloc e dagli anarchici, perché la violenza da sola non è una prova sufficiente per dare l'allarme di un pericolo per la democrazia. Perché ciò accada, occorre che qualcuno si dichiari fascista, e allora possiamo mettere le bandierine giuste sul tavolo. Occorre dunque quel pre-requisito, e cioè che soggetti diversamente violenti, picchiatori o persino editori, si dichiarino. Un po' come quando, nel sistema giudiziario americano, devi tu, imputato, dichiararti colpevole o innocente. Le conseguenze, poi, conseguono. Qui il criterio sembra stesso: quale che sia la tua violenza, ciò che conta è come ti dichiari.

Questo ragionamento non regge. Durante la lunga e orrenda stagione del terrorismo rosso, coloro che agivano sotto i nomi di Brigate rosse o Prima linea «Lotta armata per il comunismo» assassinando con un colpo alla nuca giudici, giornalisti, intellettuali e poliziotti, chiamavano se stessi «comunisti». Si chiamavano fra loro compagni, molti provenivano dalle file del Partito comunista, specialmente a Torino dove il giornalista Ezio Mauro era un accurato testimone e cronista. E allora? Forse lo Stato, i partiti, gli intellettuali e i giornalisti hanno per questo concesso loro il diritto, peraltro legittimo, di dichiarare se stessi comunisti? Ma quando mai. Quello che tu dici di essere, lo decido io. Infatti si doveva dire che si trattava delle «cosiddette» Brigate rosse dietro le quali non potevano che esserci la Cia, i servizi segreti israeliani o, meglio ancora, dei veri fascisti che si volevano spacciare per comunisti. Ma mai e poi mai fu concesso loro di essere considerati per ciò che dicevano di essere e per cui combattevano come comunisti, uccidendo e anche morendo. Altro che CasaPound, altro che questi giovanotti che non hanno la più pallida idea della storia, fascisti sotto una carnevalata di simboli runici della saga nazional-socialista nibelunga. I comunisti che hanno insanguinato la Repubblica per anni erano tali perché chiamavano se stessi comunisti e avevano dietro e intorno una fascia sociale violenta, sovversiva e antirepubblicana formata da Autonomia operaia e organizzazioni extraparlamentari come Potere operaio e Lotta continua. Tutti comunisti perché dicevano loro di esserlo. Ma cui non era permesso di essere creduti e chiamati e combattuti per quel che erano. Soltanto quando furono sconfitti dallo Stato e dalla democrazia senza alcun uso di leggi speciali, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga li sdoganò ad uno ad uno in carcere chiamandoli boy scout della rivoluzione. E nel Partito comunista, trattati con condiscendenza come «i compagni che sbagliano». Dopo di che, quei bravi ragazzi che ammazzavano per uccidere anche la democrazia nata dalla Resistenza, ce li siamo ritrovati in cattedra nelle Università per darci loro - lezioni di democrazia e, come ti sbagli, di antifascismo. Giusto per ricordare. Giusto per non dimenticare.

Giusto per un miglior uso dei due pesi e delle due misure.

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