Cronache

Roma, mancano i posti letto: disabile sfrattata dall'ospedale

La storia assurda di Maria Clara, inchiodata in una struttura accreditata dalla Regione Lazio che non può tenerla più di 60 giorni

Roma, mancano i posti letto: disabile sfrattata dall'ospedale

Niente posti in terapia intensiva. E Maria Clara, 55 anni, paralizzata da più di 40, rischia di finire in strada. Accade anche questo nella capitale dove da 3 mesi la famiglia di una paziente sta vivendo un incubo. Quale? Vivere non conoscendo il futuro prossimo di una donna inchiodata in un reparto d’ospedale. O meglio in una struttura delle tante accreditate dalla Regione Lazio e che, secondo gli stessi accordi, non può tenerla più di 60 giorni, pena severe sanzioni fino alla decadenza stessa della convenzione. Nonostante per i medici sia in gravi condizioni (referto del 25 maggio) e necessiti di assistenza medica e infermieristica continua, 24 ore su 24. Una storia che inizia negli anni ’70 quando Clara, a 12 anni, viene colpita una forma di leucemia. I medici di allora la guariscono anche se l’interruzione brusca della terapia cortisonica le provoca un’emorragia cerebrale che la spedisce in coma. I danni sono irreparabili, Clara è viva ma non cammina e non parla più. Muove solo gli occhi e con quelli dice tutto. “Ci spiegarono che nostra figlia aveva pochi mesi di vita - raccontano i genitori oggi anziani - ma noi non l’abbiamo mollata mai. Siamo sempre stati vicino a lei. E forse per questo proprio l’altro ieri abbiamo festeggiato i suoi 55 anni”. In vita per amore dei suoi cari. A Marzo, però, c’è il ricovero d’urgenza al policlinico Gemelli per una forma di cirrosi epatica. Dopo un mese finisce nel nosocomio di Tor Lupara, una residenza assistita post acuzie. E qui inizia un altro calvario. “Non sappiamo cosa sarà di noi, di Clara e dei miei genitori che l’assistono da 43 anni - racconta la sorella Cristiana, 48 anni, mentre esce dal Nomentana Hospital, la struttura di Roma Nord -. I miei sono anziani, hanno oltre 80 anni - e da mesi si fanno in quattro per andare tutti i santi giorni in ospedale da Clara. Magari potessero riportarla a casa. Siamo in lista per una struttura residenziale assistita di tipo R1, il massimo livello di assistenza, ma non sappiamo quando avremo il posto”.

Nel frattempo Clara deve andar via, lasciare il suo letto ad altri pazienti mentre lei dovrà attendere, nella migliore delle ipotesi, che altrove qualcun altro torni a casa. Nella migliore delle ipotesi. Una guerra tragica fra malati che si gioca tutta su un totale di 150 posti letto nell’intero Lazio. “Se tutto andrà bene - spiegano ancora i familiari di Maria Clara - ci spediranno in provincia di Frosinone, sul litorale o, al massimo, dall’altra parte della città. Ma quanto potremo reggere a fare avanti e indietro?”. Una grande città, Roma, che per attraversarla tutta ci si impiegano anche due ore, traffico permettendo e con qualunque mezzo. La Pisana, dal canto suo, è ben a conoscenza della questione tanto che fanno sapere di aver già approntato un piano di ampliamento dell’offerta in strutture specialistiche, in grado di risolvere, almeno per il momento, il problema. I tempi? Sconosciuti. “Intanto a noi è stato detto che pochi giorni, al massimo una settimana, e Clara dovrà andarsene da qui. Dove? Non lo sa nessuno. La proroga c’è stata ma è minima”. I posti dunque non ci sono, la lista di attesa, nonostante sia ridotta, potrebbe durare mesi. E sperare che finisca presto può anche significare la morte per qualcuno. Insomma, cosa fare? A questo punto si raggiunge il paradosso. La famiglia di Clara, sempre in attesa del posto letto, potrebbe chiedere alla prossima riunione della commissione medica (non prima del 19 giugno per impegni, ferie, dei sanitari) di “scendere di classe”, ovvero chiedere che il quadro clinico di Clara venga giudicato non più al massimo livello, R1 (per il quale il sistema sanitario nazionale deve provvedere senza alcun onere per i familiari e con la massima assistenza sanitaria) ma a livello RSA, ovvero Residenza Sanitaria Assistenziale, con solamente il medico di base. Dunque Clara potrebbe, in alternativa, finire in una struttura privata a 150 euro al giorno (pagati dai parenti) o in un ospedale convenzionato RSA ma con costi per la famiglia in base al reddito e senza l’assistenza medica adeguata. Il decreto 187, fanno sapere sempre dalla regione, ha permesso di sbloccare l’iter per aumentare i posti R1 nelle strutture accreditate. Ma solo quello. Per il momento la cifra di 150 posti resta tale nonostante le centinaia di richieste.

“Noi abbiamo paura - conclude Cristiana -, temiamo di restare soli”.

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