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Salvini, lo strappo sui vaccini è un segnale di nervosismo

Così il caso Maroni ridimensionerà Matteo nel confronto con il Cav

Salvini, lo strappo sui vaccini  è un segnale di nervosismo

Matteo Salvini sa bene quanto delicato e divisivo sia il tema dei vaccini. Eppure - con un tweet di prima mattina - il segretario della Lega non esita a prendere una posizione destinata a fare discutere, perché da una parte strizza l'occhio alla crociata no-vax dei Cinque stelle e dall'altra provoca la scontata presa di distanze di Forza Italia. Una mossa a sorpresa, quella di Salvini. Che serve anche a distogliere l'attenzione da una questione forse meno seria, ma certamente più delicata, non solo per il Carroccio ma per tutto il centrodestra. Sono 48 ore, infatti, che i riflettori sono puntati sul gran rifiuto di Roberto Maroni e su chi sarà candidato al suo posto alla guida della Lombardia, regione chiave non solo per l'economia italiana, ma anche perché è uno dei principali serbatoi di voti della coalizione di centrodestra. Alla fine l'ha spuntata il leghista Attilio Fontana, eppure chi davvero sembra essere uscito indebolito dalla vicenda Maroni e dal braccio di ferro tra Lega e Forza Italia è solo Salvini. Che, da bravo comunicatore qual è, ha cercato di sparigliare con l'affondo contro i vaccini.

Sono almeno quattro le ragioni per cui il leader della Lega si sente in queste ore sotto assedio. In primo luogo perché il via libera a Fontana - sulla cui candidatura Silvio Berlusconi non ha fatto mistero di avere più di un dubbio - ha evidentemente comportato una contropartita in termini di collegi uninominali. Se da un lato il Carroccio ha potuto conservare lo sfidante per il Pirellone, dall'altro ha dovuto concedere qualcosa nella difficile spartizione in corso in queste ore. Non un dettaglio, perché se la sfida a chi prende più voti tra Forza Italia e Lega dovesse finire senza un chiaro vincitore, il numero di parlamentari eletti dall'uno e dall'altro partito potrebbe fare la differenza. Un primo segnale di ammorbidimento di Salvini, intanto, è arrivato già ieri, quando Forza Italia, Lega e Fdi hanno messo nero su bianco che dei seggi da assegnare alla cosiddetta quarta gamba si faranno carico proporzionalmente tutti e tre. Quindi anche il Carroccio, nonostante fino a qualche giorno fa Salvini fosse stato sul punto categorico.

La seconda ragione per cui il leader della Lega non è affatto contento dello scenario che si va delineando con la candidatura di Fontana è che difficilmente l'ex sindaco di Varese otterrà il plebiscito che avrebbe invece portato a casa Maroni. Questo significa che all'indomani delle elezioni politiche Salvini si siederà al tavolo delle trattative - che siano con il solo centrodestra o più allargate nel caso si discuta anche l'ipotesi di un governissimo - certamente più debole di quanto lo sarebbe stato con l'ombrello della larga vittoria di Maroni. E se mai Fontana dovesse andare male - vincere di misura o addirittura perdere - colpe e responsabilità ricadrebbero tutte e solo su Salvini, che Fontana lo ha voluto nonostante le dichiarate perplessità di Berlusconi e di tutta Forza Italia.

C'è una terza questione che agita i sonni del segretario del Carroccio. Dichiarazioni di facciata a parte, i rapporti tra lui e Maroni sono ai minimi storici da tempo. La vicenda di questi giorni ha ovviamente acuito le incomprensioni e acceso i malumori che serpeggiano in Lega rispetto ad alcune scelte del segretario, a partire dalla decisione di «nazionalizzare» il Carroccio fino alla messa all'angolo di Umberto Bossi (che molto probabilmente non sarà ricandidato). Con un dettaglio: da oggi Salvini si ritrova in via Bellerio un competitor interno che ha dalla sua un sacco di tempo libero da dedicare al movimento.

Infine, il quarto e ultimo motivo di preoccupazione. Al di là delle dichiarazioni di questi giorni, infatti, non c'è alcun dubbio sul fatto che Maroni resti un nome spendibile per un futuro governo (di centrodestra o di unità nazionale). Certo, su di lui pesa una vicenda processuale non ancora chiusa, ma se qualcuno dovesse fare il suo nome per Salvini sarebbe difficile dire «no». Il curriculum è di tutto rispetto (ministro dell'Interno e ministro del Welfare, oltre che governatore della regione più produttiva d'Italia) e con un gradimento anche nel centrosinistra.

Uno scenario in cui il leader della Lega si troverebbe nella difficilissima condizione di dover porre il veto su chi la Lega l'ha fatta nascere.

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