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Sciascia, mio padre e la malapolitica

Sciascia, mio padre e la malapolitica

Mio padre compierà novantasette anni il 15 gennaio. È appena più giovane di Leonardo Sciascia, nato l'8 gennaio e che quel giorno ricorderemo, dopo averlo onorato a Racalmuto con una corona di fiori su cui ho voluto la scritta: «Sai cos'è la nostra vita, la tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì e stiamo sognando».

Mio padre ha sognato sul Po, un sogno diverso, lungo l'argine del tempo. Ho conosciuto bene Sciascia, che è morto nel 1989, e allora mi era nello spirito, e nella ragione, coetaneo, mentre oggi è nella storia. Ma più di altri scrittori, come mi accade con Guicciardini, Leopardi, Benedetto Croce, su temi civili ed esistenziali, ogni pensiero di Sciascia mi convince, e in qualche modo mi appartiene.

Così, mentre osservo il degrado della politica del nostro tempo e la sempre più radicale «trahison de clercs», ripenso alle sue parole: «direi che il dato più probante e preoccupante della corruzione italiana risieda non tanto nel fatto che si rubi nella cosa pubblica e nella privata, quanto nel fatto che si rubi senza l'intelligenza del fare e che persone di assoluta mediocrità si trovino al vertice di pubbliche e private imprese...

Si può dire di loro quel che D'Annunzio diceva di Marinetti: che sono dei cretini con qualche lampo di imbecillità: solo che nel contesto in cui agiscono l'imbecillità appare - e in un certo senso e fino a un certo punto è - fantasia».

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