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Lo scoglio Conte-bis fra Di Maio e Zingaretti. E i tempi si allungano

Lo scoglio Conte-bis fra Di Maio e Zingaretti. E i tempi si allungano

Solo quattordici mesi fa si era autoproclamato il «governo del cambiamento». Da ieri, dopo un surreale dibattito ferragostano nell'aula del Senato, è a tutti gli effetti il «governo dello smarrimento». Quello di Matteo Salvini, che dopo aver aperto la crisi lo scorso 8 agosto invocando un immediato ritorno alle urne, si è avvitato in un onirico gioco del cerino nel tentativo di cancellare le sue impronte digitali da uno showdown che prima ha voluto con forza e poi ha rinnegato. Al punto che ieri, dopo cinque ore di dibattito parlamentare e ormai a sera pochi minuti prima che Giuseppe Conte salisse al Quirinale, la Lega ha deciso di ritirare la mozione di sfiducia al premier presentata ormai da una settimana. Un'azione di disturbo sulla trattativa in corso tra M5s e Pd e il tentativo scomposto ai limiti della farsa di nascondere la mano dopo aver gettato il sasso. Ma lo smarrimento è pure quello di Luigi Di Maio, che avrebbe voluto provare a rimettere insieme i cocci con la Lega. Non per una condivisione d'amorosi sensi con Salvini, ma perché il vicepremier grillino sa bene che un confronto con il Pd per un eventuale governo alternativo non può nel medio periodo che marginalizzarlo sempre di più all'interno del Movimento. Se davvero partisse un esecutivo giallorosso, infatti, Di Maio sarebbe costretto a cedere politicamente parlando l'onore della armi a Roberto Fico.

Suo malgrado, dunque, il leader del M5s deve sedersi al tavolo con il Pd, unico interlocutore possibile per un governo che eviti il ritorno alle urne. Uno scenario che investirebbe Di Maio come un tornado, visto che è del tutto evidente che non sarebbe lui il frontman se si tornasse a breve in campagna elettorale. Ed è per questo che il vicepremier ieri ha aperto un canale diretto con Nicola Zingaretti. Il segretario del Pd non è affatto entusiasta di un esecutivo con il M5s, ma a parte il pressing di Matteo Renzi c'è anche un pezzo importante del suo partito che non vuole perdere l'occasione di provare a marginalizzare Salvini. A partire dal padre nobile per antonomasia del Pd, Romano Prodi.

Sul tavolo c'è l'ipotesi di un esecutivo che vada avanti tre anni. Magari, se necessario, con un governo ponte che si assicuri velocemente di fare la legge di Bilancio mentre si mette nero su bianco un contratto di legislatura alla tedesca. D'altra parte, se c'è da sporcarsi deve valerne la pena. E quindi bisogna reggere fino al 2022, quando questo Parlamento eleggerà il successore di Mattarella. Il nodo, però, è la premiership. Il M5s fa quadrato su Conte, che non a caso nel suo intervento di ieri in Senato ha di fatto illustrato gli eventuali nuovi obiettivi di un futuro governo desalvinizzato. «Per noi è discriminante. Senza Conte a Palazzo Chigi, non tengo i gruppi parlamentari», ha detto il leader grillino a Zingaretti. Che però su questo fronte pare non sentirci. «Mi spiace, ma per noi un Conte bis è insostenibile», è stata la risposta del segretario dem.

La trattativa, però, è solo all'inizio. E l'impressione è che alla fine una quadra la si possa trovare. Magari non proprio nei tempi stretti auspicati dal capo dello Stato. Di Maio e Zingaretti, infatti, avrebbero persino ragionato sulla possibilità di restare entrambi fuori da questo eventuale governo giallorosso. Uno scenario, però, che dovrebbe avere il placet di Mattarella, visto che una simile scelta non potrebbe che indebolire il nuovo esecutivo ancor prima che nasca. Sia Di Maio che Zingaretti, però, hanno paura che Renzi possa «fare colpi di testa». A tal proposito il vicepremier grillino avrebbe chiesto garanzie al segretario dem.

Sentendosi rispondere con un sincero «non posso dartene».

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