Politica

Scordiamoci il voto

Conte oggi in Aula getta le basi per il «governo ponte». Ma dopo la manovra è pronta l'intesa grillo-comunista. E nella Lega esplode il malumore sul capo

Scordiamoci il voto

Dodici giorni dopo che Matteo Salvini ha aperto questa pazza e irrituale crisi di governo, oggi si arriva finalmente alla resa dei conti. Che andrà in scena alla 15 in Senato, perché anche in questi tempi di populismo spinto, di comizi in diretta Facebook e campagne elettorali a colpi di tweet, la politica continua a volere le sue forme e i suoi luoghi. Che formalizzeranno quella che è una crisi di fatto ormai dall'8 agosto. Dopo le comunicazioni di Giuseppe Conte a Palazzo Madama, infatti, si apriranno ufficialmente le danze che già da giorni raccontano di un lento ma costante balletto di avvicinamento tra M5s e Pd. E sullo sfondo l'idea di un «governo ponte» che metta in sicurezza i conti, in attesa che a gennaio, febbraio al massimo, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti siano pronti a lanciare un esecutivo con un contratto «alla tedesca», che abbia cioè come base fondante un dettagliato programma di governo.

La trattativa, ovviamente, è sotterranea. E, soprattutto, ha bisogno di tempo per smussare le tante incomprensioni. Però non c'è dubbio che sia in corso. Al punto che c'è chi parla di un imminente colloquio tra Di Maio e Zingaretti. Il leader del M5s, infatti, vuole precise garanzie dal segretario del Pd, soprattutto sull'affidabilità di Matteo Renzi che, come noto, controlla il gruppo parlamentare dem del Senato e, dunque, avrebbe la golden share su un eventuale esecutivo M5s-Pd. E non solo Di Maio, ma tutti i vertici del Movimento, vogliono evitare di imbarcarsi in un governo che sia preda degli umori di Renzi visto che sono in molti a dire che, appena messo a punto il suo partito, l'ex premier sarebbe pronto a far saltare il banco per andare alle urne. Questione di cui avrebbero già parlato direttamente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Vincenzo Spadafora e lo stesso Zingaretti. «Di Maio chiede che tu ti faccia garante dell'affidabilità di Renzi», sarebbe stato il messaggio recapitato da Spadafora.

Nonostante le difficoltà, insomma, la trattativa sarebbe a uno stadio avanzato. Al punto che nelle chat di deputati e senatori grillini un governo giallorosso viene quotato «tra l'80 e il 90%». Con grande soddisfazione soprattutto dei parlamentari del Nord, visto che - fa notare un senatore del M5s - ormai «da quelle parti i sondaggi ci danno di molto sotto il 10%». Insomma, se si tornasse al voto, buona parte della pattuglia grillina sarebbe destinata a restare a casa. Ieri, durante la riunione dei gruppi parlamentari del Movimento a Montecitorio, si vociferava anche di un ragionamento in corso sul futuro ruolo di Di Maio. Che, forse in sfregio al suo ex alleato Salvini, avrebbe chiesto di potere sedere al ministero dell'Interno, poltrona su cui però il Pd vedrebbe bene il ritorno di Marco Minniti.

Tutti dettagli che ci sarà tempo di limare. Anche perché l'idea che sta prendendo piede in queste ore è quella di fare le cose con calma. Dopo le comunicazioni in Senato, infatti, Conte dovrebbe salire al Colle per dimettersi. Ma la proposta che è stata recapitata in queste ore al Quirinale sia dal premier che dal M5s è quella di un «governo ponte» presieduto dallo stesso Conte. Un esecutivo che - con Giovanni Tria saldo al ministero dell'Economia - si dovrebbe occupare della legge di Bilancio, così da mettere in sicurezza i conti ed evitare l'aumento dell'Iva. D'altra parte, avrebbe fatto notare ieri il titolare di via XX settembre a Di Maio durante un faccia a faccia a Palazzo Chigi, senza le pretese di Salvini sulla flat tax ci sono buoni margini di movimento per una manovra che non sia in deficit.

Insomma, si tratterebbe di una sorta di «governo anticamera». Sostenuto da M5s e Pd, come l'esecutivo che lo dovrebbe seguire a gennaio. Uno scenario che allontanerebbe - e di molto - le elezioni anticipate. Sempre che abbia il placet del Quirinale, preoccupato sia dall'eventualità di non avere un governo in carica per affrontare la legge di Bilancio che dalla prospettiva di un esecutivo non di lungo respiro.

Ecco perché, forse, quello del «governo ponte» potrebbe essere un compromesso accettabile.

Commenti