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Se agli editori non piace il libero mercato

Scrivo in palese conflitto di interesse, essendo direttore de Il Giornale, quotidiano inserito in un gruppo editoriale, insieme a Libero e al Tempo, che fa capo alla famiglia Angelucci

Se agli editori non piace il libero mercato

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Scrivo in palese conflitto di interesse, essendo direttore de Il Giornale, quotidiano inserito in un gruppo editoriale, insieme a Libero e al Tempo, che fa capo alla famiglia Angelucci. La stessa che di recente ha espresso un interesse all'acquisto dell'agenzia Agi, gloriosa testata oggi proprietà dell'Eni.

La notizia sta creando non poco scalpore, direi eccessivo, al punto da diventare sospetto. I colleghi dell'Agi sono in stato di agitazione, giornali e televisioni lanciano quotidiani allarmi e fanno da grancassa a tesi complottiste con l'evidente scopo di impedire che l'operazione vada in porto; politici di prima linea Conte, Calenda, Bersani scendono addirittura in piazza a manifestare.

In tutto questo, personalmente, non ho alcun interesse, se non difendere il principio del libero mercato che tale dovrebbe essere, nel rispetto delle leggi, a prescindere dagli orientamenti politici degli attori in campo: un'azienda deve essere libera di mettere in vendita un ramo, un'altra di dimostrarsi interessata all'acquisto, senza che ciò suoni come una minaccia alla democrazia.

Per quello che vale, vorrei tranquillizzare i colleghi dell'Agi: in questo gruppo editoriale stipendi, libertà e diritti corrono puntuali come e forse più che in qualsiasi altro casato. E fa specie che a fare da grancassa agli allarmi sul pericolo di «concentrazione dell'informazione» siano gruppi editoriali che sono un concentrato assoluto e su tale posizione dominante hanno costruito senza che nessuno a sinistra abbia avuto da obiettare, anzi, semmai, ha agevolato le loro alterne fortune. Curioso è infatti che l'ostilità maggiore arrivi dal gruppo Gedi della famiglia Agnelli, che possiede due dei tre principali quotidiani italiani (la Repubblica e La Stampa), due delle radio più famose e affermate (Deejay e Capital), nonché diversi importanti quotidiani locali. Curioso è poi che sul piede di guerra ci siano anche i colleghi di La7 che fanno parte della super concentrazione mediatica e pubblicitaria del gruppo Rcs, insieme a Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport. Va da sé che parliamo di due gruppi, Gedi e Rcs, politicamente e culturalmente orientati, sia pure con toni e sfumature diverse, a sinistra, che non fanno mistero della loro ostilità all'attuale governo.

Insomma, a me sembra che tutto questo cancan sia orchestrato ad arte non in nome di nobili principi, peraltro non in discussione, ma per difendere monopoli consolidati nel campo dell'informazione, spesso usati per fini politici ed economici che con l'informazione hanno poco a che fare. Chi teme la concorrenza non è un buon imprenditore, tantomeno chi usa la propaganda per infangare possibili concorrenti.

Figuriamoci chi si oppone al libero mercato professandosi liberale.

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