Politica

Quella "secessione" che salva i conti

Quella "secessione" che salva i conti

Alla fine la Lega la secessione l'ha fatta davvero. Non quella tra il Nord e il Sud del Paese, silenziosamente archiviata anni fa dallo stesso Umberto Bossi. Ma quella tra il Carroccio old style e la versione 2.0. Il primo figlio dell'intuizione geniale del Senatur che nel 1984 fondò a Varese la Lega autonomista Lombarda, il secondo frutto dell'ostinazione di un Matteo Salvini che non ha mai smesso di credere nella possibilità di trasformare la Lega in un partito a vocazione nazionale.

Ieri, senza troppo clamore e in un albergone della periferia di Milano dove si presentano solo 126 dei circa 500 aventi diritto, il passaggio di consegne formale con un congresso lampo che dà il via libera al nuovo Statuto. Sullo sfondo, la vera ragione di un'accelerazione di cui politicamente non si sentiva alcuna necessità: distinguere giuridicamente la vecchia Lega Nord dalla nuova Lega Salvini premier. E lasciare solo a carico della prima le pendenze giudiziarie che impongono la restituzione allo Stato dei famosi 49 milioni di rimborsi elettorali illecitamente percepiti e che dovranno essere ripagati a rate nei prossimi 80 anni.

È questo, infatti, il motivo di una svolta che in altre circostanze avrebbe avuto certamente una rilevanza mediatica diversa, con conferenze stampa e post su tutti i social per annunciare in pompa magna il nuovo corso e catalizzare come sempre fa Salvini l'attenzione. Niente di tutto questo, invece. Perché nelle sue conversazioni private l'ex vicepremier va dritto al punto, senza neanche provare a dare una valenza politica alla svolta. «È l'unico modo per garantirci un'agibilità politica», spiega il leader della Lega. A cui fanno eco i ragionamenti di Giancarlo Giorgetti e Roberto Calderoli, uno di quelli che il nuovo Statuto l'ha scritto. «Non possiamo rischiare di trovarci con la procura di Genova che da un giorno all'altro ci dice che la rateizzazione non va più bene e magari ci blocca i conti, come peraltro è già accaduto», è il senso del ragionamento di tutti e tre. Perché se questo accadesse oggi argomenta Salvini si potrebbe anche «pianificare una risposta», mentre se per caso «succedesse nel bel mezzo della campagna elettorale e a poche settimane dalle elezioni ci troveremo nella condizione di non poter stampare neanche un volantino». Bisognerà vedere cosa ne pensa la procura, che raccontano i ben informati è in attesa di leggere i documenti allegati al nuovo statuto che hanno a che fare con la parte più strettamente finanziaria per capire se è in atto un tentativo di «separazione fittizia» tra Lega Nord e Lega Salvini premier.

L'obiettivo, dunque, è distinguere la bad company dalla good company. La prima risposta formale di un Salvini che si sente sempre più assediato dalla magistratura. Non c'è, infatti, solo la vicenda dei 49 milioni a rabbuiare il leader della Lega, ma anche il Russiagate su cui continuano a rimbalzare voci di «importanti riscontri» in mano alla procura di Milano. Per non parlare del caso Gregoretti. Senza l'aiuto dei franchi tiratori o dei renziani, infatti, è altamente probabile il via libera del Senato per l'autorizzazione a procedere. Il che, in caso di condanna dell'ex ministro dell'Interno anche solo in primo grado, farebbe scattare la Severino e dunque la sospensione dalle cariche elettive per 18 mesi. «Nessun problema, continuerei a fare politica e campagna elettorale da leader della Lega», risponde battagliero Salvini a chi in privato gli chiede lumi. Ma è del tutto evidente che un'eventuale impossibilità di candidarsi sarebbe di fatto un gigantesco macigno.

Ecco perché, forse, il leader della Lega ha per la prima volta scelto di avere un approccio meno frontale del solito. Lui, sempre pronto ad azzerare il dissenso, ha preferito scendere a più miti consigli. Bossi, solo qualche anno fa miseramente escluso dalle chat Whatsapp dei gruppi parlamentari, è stato non solo invitato e acclamato dai delegati del congresso, ma anche riconfermato come presidente federale a vita. Una mano tesa, che il Senatur ha voluto stringere non aprendo fronti polemici. Anzi, i due si sono persino abbracciati. Nonostante le note distanze. «Sono venuto qui oggi ha confidato Bossi in privato perché chi sceglie di non esserci è sempre dalla parte del torto. E poi avrebbero detto che ero malato, non più in grado di seguire la Lega.

Invece eccomi qui».

Commenti