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Al Senato va in scena il teatrino d'agosto

Al Senato va in scena il teatrino d'agosto

Il grande teatrino agostano si è aperto ieri al Senato con il voto sul decreto Sicurezza bis e si chiuderà solo domani quando Palazzo Madama dirà la sua sulle mozioni pro e anti Tav. Tre giorni bollenti, raccontati con il pathos delle grandi occasioni perché questo vuole la narrazione della precarietà imposta da Matteo Salvini. Il governo trema, la maggioranza scricchiola, il M5s teme i trappoloni della Lega e - dicono non solo nel governo ma perfino dall'opposizione - «questi tre giorni d'inizio agosto sembrano tre mesi». Sarà. D'altra parte, ognuno percepisce la realtà a modo suo e come meglio crede.

Già, perché che il voto sul Sicurezza bis non comportasse rischio alcuno per l'autoproclamato «governo del cambiamento» non è certo una novità di ieri. In questi ultimi mesi, infatti, più volte il Senato ha votato la fiducia al governo tenendosi poco sopra la soglia dei 150 voti, una decina meno del fatidico 161 che rappresenta la maggioranza assoluta di Palazzo Madama. E quando è successo non ci sono stati né terremoti né invasioni di cavallette. Tutto è filato senza intoppi, esattamente come accaduto ieri quando a sera il decreto Sicurezza è stato approvato con 160 «sì». A conferma di quanto liscio sia andato il voto, basti dire che poco più di un mese fa il decreto Crescita fu approvato dal Senato con la fiducia e «solo» 158 «sì», due in meno di ieri.

Domani, invece, sempre a Palazzo Madama andrà in scena il secondo atto. Con Lega, M5s e le opposizioni tutte che si sfideranno sulla Tav in singolar tenzone con grande rumoreggiare di tamburi. Peccato, piccolo dettaglio, che le mozioni in discussione non abbiano alcun valore giuridico né siano in alcun modo vincolanti. Non solo perché una settimana fa il ministero delle Infrastrutture ha mandato alla Commissione Ue la lettera in cui formalizza «l'impegno a finire i lavori» della Torino-Lione. Ma perché trattandosi di un accordo sottoscritto con un trattato internazionale, sulla Tav si può intervenire solo con un disegno di legge d'iniziativa governativa. Insomma, quella che andrà in scena domani mattina sarà una grande sceneggiata ad uso e consumo delle rispettive narrazioni. Quella di Salvini, che ormai da giorni cerca ogni pretesto per alzare la tensione con il M5s e schiacciarli sempre più nell'angolo. Un modo per mettere nero su bianco - se qualcuno avesse ancora dubbi - che è la sua la leadership indiscussa di questo governo e che Di Maio e soci altro non possono fare che chinare la testa ad ogni richiesta. Ma c'è anche la narrazione del leader M5s, costretto a subire in silenzio a meno di non voler restare con in mano il cerino della crisi che porterebbe a elezioni anticipate da cui il Movimento rischierebbe di uscire devastato. Ecco perché anche Di Maio partecipa volentieri al grande teatrino delle mozioni sulla Tav, con l'illusione di «coprire» l'ennesima caporetto identitaria dei Cinque stelle.

Ma che davvero domani possa accadere qualcosa è altamente improbabile. Perché, di fatto, comunque vada a finire non ci sarà alcun elemento nuovo di rilievo. Anche nel caso in cui la mozione no Tav grillina dovesse passare, ipotesi più che remota perché servirebbe l'astensione di tutte le opposizioni. Peraltro il M5s si è già preoccupato di disinnescare eventuali fughe in avanti. E a Salvini che dice che «votare contro la Tav equivale a votare contro il governo Conte» ha già replicato Danilo Toninelli. «La mozione impegna il Parlamento, nessun problema di tenuta per l'esecutivo», assicura il ministro delle Infrastrutture ritagliandosi anche lui una parte nel grande teatrino d'agosto di Palazzo Madama.

Se poi davvero Salvini dovesse decidere di usare la mozione M5s per andare allo show down non sarebbe certo per fatti sopravvenuti. In tante altre occasioni, infatti, i Cinque stelle hanno fornito simili pretesti, ma il ministro dell'Interno non ne ha mai approfittato nonostante il pressing insistente di molti big della Lega. L'ultima volta solo una settimana fa, quando su un atto formale come la lettera del Mit alla Commissione Ue, proprio Toninelli si rifiutò di apporre la sua firma.

E - per marcare la distanza politica del M5s - preferì far sottoscrivere la missiva che ufficializzava il via libera alla Tav a un semplice dirigente del ministero.

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