Cronache

Invasione senza fine, gli italiani sono al limite

Scoppia la guerriglia degli immigrati in Veneto. Ma da Nord a Sud tutto il Paese è una polveriera

Invasione senza fine, gli italiani sono al limite

Il campo profughi di Cona, nel Veneto è solo l'ultimo caso. La tensione in Italia è ormai alle stelle. Rabbia, frustrazione, violenza, sono lì, pronte ad esplodere in ogni momento. Polveriera Italia, in Veneto come in Lombardia, nel Lazio, in Sicilia. Scoppiano risse, sassaiole contro le forze dell'ordine, contro i cittadini, rivolte per strada. Il problema è la gestione, gli arrivi sono fuori controllo. Il collasso è la miccia che rischia di far saltare tutto, e di sfociare in violenza incontrollabile. L'anno appena concluso rischia di essere quello record in quanto agli sbarchi, che sono aumentati del 9,83 per cento rispetto al 2015. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Viminale, a dicembre sono stati oltre 181mila gli immigrati approdati sulle nostre coste. E l'Unione europea guarda l'invasione senza muovere nemmeno un dito. Ma il vero problema è poi l'accoglienza, la sistemazione nei vari centri smistati in tutta Italia. È qui infatti che la situazione rischia di diventare incandescente, come dimostrano anche gli ultimi tristi fatti di cronaca. Il sistema d'accoglienza è messo sotto forte pressione e i centri che ospitano gli stranieri e le strutture temporanee sono al collasso. Tra le regioni, in testa c'è la Lombardia (con il 13 per cento), seguita da Sicilia, Piemonte, Lazio, Veneto e Campania, tutte con l'8 per cento (circa 14mila ospitati per ognuna). Neppure l'Umbria, nonostante l'emergenza terremoto, si è tirata indietro, e ospita il 2 per cento degli immigrati. Tra le nazionalità dichiarate al momento dello sbarco prevalgono i nigeriani (20%), seguiti da eritrei (12%), guineani (7%) e gambiani (6%). Ingente, inoltre, anche il fenomeno dei minori non accompagnati, che hanno superato quota 20mila, contro i 12mila dell'intero 2015. Qui di seguito le regioni.

TORINO

È il Villaggio Olimpico, ex Moi, di via Giordano Bruno, a Torino, la polveriera del Piemonte, pronta ad esplodere ad ogni litigio tra immigrati o tra loro ed i residenti. Come è accaduto a fine novembre dell'anno scorso, quando i profughi che occupano abusivamente quattro palazzine, sono scesi in strada e hanno sradicato cartelli, lanciato bottiglie, ribaltato cassonetti dell'immondizia, inscenando la prima rivolta dei migranti della storia di Torino. Al grido: razzisti, carogne, Allah ci guiderà nella vendetta, hanno bloccato il quartiere per due giorni. Si parlò di mandare l'esercito, di un censimento e di sgombero ma, a due mesi di distanza, niente è stato ancora fatto. «I riflettori si sono spenti ma la situazione non è cambiata: nell'ex Villaggio Olimpico si rischia la rivolta ad ogni istante - spiega il presidente della Circoscrizione 8, Davide Ricca, rappresentante del Pd -. E anche la gestione del sindaco Piero Fassino ha le sue responsabilità per questa situazione altamente a rischio. In un'area che può ospitare al massimo 400 persone, ce ne sono, in una situazione di assoluto degrado, mille e 500: è fisiologico che prima o poi la tensione diventi rivolta». Nell'ex Moi si muove una città illegale dove i primi a essere insofferenti sono i molti stranieri regolari che da anni vivono nel quartiere. Gli ultimi dati diffusi dalla Regione Piemonte indicano che su 10.171 immigrati presenti in Piemonte, 9.209 si trovano ancora nei centri di permanenza temporanea e il malcontento per l'ospitalità, soprattutto nei piccoli paesi, di un numero spropositato di profughi - spesso più numerosi degli stessi residenti - serpeggia in tutta la regione. Le rivolte per la mancanza di cibo, abbigliamento non adeguato, la rete gratuita di Wi-Fi, ma anche per gli orari troppo mattinieri per svolgere i lavori socialmente utili, animano quasi ogni giorno i centri di accoglienza. E l'insofferenza sale, al di là del colore politico.

MILANO

«Stanno costruendo un grande centro di accoglienza per 130 profughi a Montichiari, (Bs) all'interno dell'ex caserma Serini. E c'è un presidio fisso che dura da settimane - spiega la leghista Simona Bordonali, assessore alla Sicurezza, Protezione civile e Immigrazione in Regione -. La gente infatti non vuole assolutamente questo centro - continua Bordonali -. E a novembre 150 persone hanno fatto addirittura le barricate: davanti al cancello della caserma c'erano decine di bancali, accatastati uno sopra l'altro, quasi a impedire che il cancello potesse aprirsi. Senza parlare dei numerosi sit in». Tra le altre manifestazioni e comitati di cittadini contrari all'arrivo dei profughi va ricordato quello della caserma Montello, a Milano. «Si è costituito un comitato di cittadini della zona che ho personalmente incontrato, residenti tutti molto preoccupati e che sento in maniera continuativa rispetto alle problematiche di sicurezza della zona». Segnalazioni? Lamentele? «Mi arrivano da tutta la Lombardia - prosegue Bordonali - purtroppo rispetto alla ridistribuzione sul territorio dei richiedenti asilo Regione Lombardia non siede ai tavoli nazionali perché tutto è gestito dalle prefetture. Però quando riceviamo segnalazioni attiviamo i controlli delle aziende sanitarie e verifico generalmente di persona recandomi nelle strutture stesse». Una di queste strutture, però, l'assessore Bordonali e il consigliere comunale del Carroccio Alessandro Morelli, la scorsa estate sono riusciti a farla chiudere. «A seguito della segnalazioni ricevute dai residente che indicavano scarsa igiene nel centro d'accoglienza di via Balduccio da Pisa (zona Corvetto) - conclude l'assessore regionale alla Sicurezza e all' Immigrazione - io e Morelli abbiamo allertato i controlli dell'Ats. Così alla prefettura non è rimasto che revocare il contratto».

VENETO

Il Veneto scoppia. È già scoppiato. Le polveriere pronte a esplodere in terra veneta sono quattro: l'ex base militare di Conetta, nel veneziano, con quasi 1500 profughi, l'ex caserma San Siro di Bagnoli di Sopra nel padovano con 870 persone, l'ex caserma Zanusso di Oderzo, nel trevigiano, con 300 richiedenti asilo e l'ex Serena, a Dosson di Casier, sempre nel trevigiano che ha ormai occupato ben oltre la sua effettiva capienza. Fino a novembre scorso erano quasi 500. Il Veneto è la seconda regione, dopo la Lombardia, con più rifugiati. È oltre quota 14.500. E basta aggirarsi per qualche campo o qualche centro di accoglienza per capire la situazione. Migranti con gli occhi che sembrano essere sempre più cattivi. Dopo l'esplosione della rivolta a Conetta, la tensione è alta. I veneti hanno paura, anche solo a camminare per strada e in qualunque modo tentano di riprendersi la propria libertà. Come la settimana scorsa. Durante la fiaccolata di protesta contro la realizzazione di un centro di accoglienza nell'ex polveriera di Volpago del Montello (Treviso) è apparso in prima linea lo striscione «Benvenuti sul Montello: sarà il vostro inferno». L'ex polveriera, infatti, che dovrebbe ospitare circa cento richiedenti asilo, si appresterebbe a diventare il terzo hub della Marca Trevigiana. La situazione non è più sostenibile e i sindaci scendono sul piede di guerra. Come Gianluca Piva, primo cittadino di Agna, comune padovano, che pur non ospitando profughi, ne è accerchiato. Un caso curioso, unico in Italia, circondato dai due centri più grandi del Veneto: Conetta e San Siro. In soli sei chilometri, ci sono duemila richiedenti asilo. «Abbiamo bussato a tutte le porte istituzionali ci dice Piva e ci siamo appellati alle massime cariche dello Stato, ma finora niente. Solo promesse. Queste due ex caserme tuona vanno chiuse e basta. Ora alziamo i toni».

LAZIO

Roma si ribella ai centri di accoglienza. L'emergenza immigrati nella capitale monta prima nel quartiere Tor Sapienza poi, nell'autunno scorso, in zona Portuense. Il centro di accoglienza per rifugiati politici di Roma Est (quaranta fra africani e bengalesi) in viale Morandi viene preso d'assalto più volte alla fine del 2014, tanto che le forze dell'ordine sono costrette a presidiarlo con i reparti speciali. Agenti in assetto antisommossa fanno «la guardia» a una pentola in piena ebollizione che, alla fine, salta in aria. Il risultato è una guerriglia mai vista prima: bombe carta contro il centro, cassonetti dati alle fiamme, sassaiola tra immigrati e manifestanti italiani. L'allora sindaco Marino è costretto a intervenire per evitare il peggio. Ma è nel quartiere sull'antica via Portuense che il 30 settembre scorso si sfiora la tragedia. Una commerciante di 60 anni viene rapinata selvaggiamente nel negozio del marito, un'erboristeria. La donna viene riempita di calci e pugni tanto da fratturarle le costole e spappolarle la milza. Bottino? La borsetta con dieci euro e le chiavi di casa. La rapina si consuma a pochi passi dal centro di accoglienza per rifugiati di via Ramazzini, autore della follia un giovane senegalese. Anche qui scende in piazza l'intero quartiere. «Basta con gli immigrati» urlano i residenti. A luglio dello scorso anno, quando anche a Fiumicino arrivano i primi 60 migranti ospitati in un centro di accoglienza all'Isola Sacra, tra Ostia e l'aeroporto Leonardo da Vinci, in Comune si sfiora la rissa. «Decisione presa dalla maggioranza del Partito Democratico senza avvertire nessuno», denunciano i consiglieri d'opposizione Mauro Gonnelli, Federica Poggio e William De Vecchis. Secondo gli abitanti la scelta del luogo è quanto meno inappropriata: le condizioni di sicurezza, infatti, sono pressoché inesistenti.

TOSCANA

Dai casi «storici» come gli insediamenti rom alla periferia di Firenze o quelli cinesi a Prato, fino alle situazioni che periodicamente si verificano solo negli ultimi mesi, è avvenuto a Livorno e provincia, in lucchesia, ad Aulla (Massa) o Capalbio (Grosseto) quando sul territorio sbarcano nuovi migranti: la Toscana ha da tempo superato la soglia massima di accoglienza. Non lo dicono solo le opposizioni, ma le stesse istituzioni. A fine ottobre, infatti, il sindaco di Prato e presidente Anci Matteo Biffoni ha scritto una lettera al prefetto fiorentino per segnalare che dopo l'ultima ondata di arrivi (600 profughi) la Toscana «è ormai arrivata oltre i limiti di saturazione» e chiedere che fossero rispettate le quote assegnate dal governo. La Toscana ha una presenza di richiedenti asilo superiore a quella di molte altre Regioni. «Ciò può comportare il serio rischio di tensioni sociali e mette i Comuni in seria difficoltà», ha aggiunto Biffoni. Tensioni che a settembre sono esplose a Livorno, dove una cinquantina di profughi hanno protestato violentemente bloccando le strade, minacciando e tentando di aggredire i passanti a colpi di pietra, per la carenza d'acqua nella struttura dove erano ospitati. A scendere in piazza sono sia gli stranieri a luglio un gruppo di immigrati ha manifestato davanti alla prefettura di Lucca perché non soddisfatti dell'alloggio assegnato sia, più spesso, i residenti. Negli ultimi mesi piccoli gruppi di cittadini si sono opposti all'arrivo di richiedenti asilo a Marina di Cecina ed Aulla, dove in trenta si sono rivolti a un avvocato. In Toscana, dove a novembre è stato annunciato un master universitario in «Accoglienza dei migranti», lo stesso Pd è sceso in piazza. È accaduto a Capalbio, dove il sindaco radical chic Luigi Bellumori ha attaccato la prefettura per la decisione (poi revocata) di concedere a una ventina di migranti tre villette vicino al borgo medievale della località turistica maremmana.

PUGLIA

Dal primo grande sbarco del '91 dall'Albania alle rotte orchestrate dai trafficanti di umanità nella basi sparpagliate tra Grecia e Turchia: da quasi ventisei anni la Puglia è crocevia dell'immigrazione e con il passare del tempo si è trasformata in un'autentica polveriera. Perché tra ghetti di Stato e ghetti di fatto, il delicato fronte dell'accoglienza è scandito da tensioni, rivolte, scontri. Secondo l'ultimo dossier del governo elaborato su dati Istat, in Puglia vivono 122.724 migranti. Ma qui viene smistata gran parte di quanti sbarcano ogni giorno in Italia. I centri di accoglienza per richiedenti asilo di Bari e Borgo Mezzanone (Foggia) arrivano a contenere anche 1.200 persone, oltre il doppio della capienza prevista. Una situazione ad alto rischio, come conferma la sentenza del 12 dicembre, quando 31 migranti sono stati condannati per la rivolta scoppiata il primo agosto del 2011 nella struttura di Bari: tra gli imputati c'era anche Mada Kabobo, il ghanese che l'11 maggio del 2013 a Milano uccise tre passanti a picconate. Disordini ci sono stati l'estate scorsa anche nel Centro di identificazione ed espulsione di Restinco (Brindisi), che in media ospita un centinaio di clandestini mentre il 10 dicembre una donna nigeriana è stata bruciata viva poco distante dall'ingresso di Borgo Mezzanone. L'ultima struttura di accoglienza realizzata è l'hotspot di Taranto, dove ad aprile c'è stata una fuga di massa. I timori maggiori sono però legati ai ghetti sorti nelle campagne della regione: qui secondo dati raccolti dai sindacati vivrebbero circa diecimila persone, fantasmi di cui si sa poco o nulla, gente reclutata dai caporali per la raccolta di pomodoro, uva, angurie.

L'area più grande è tra Foggia, Rignano Garganico e San Severo, un fazzoletto di terra trasformato in un groviglio di baracche e lamiere: è la giungla di Puglia, dove il 27 luglio un maliano di 34 anni è stato ucciso a coltellate da un ivoriano dopo una lite.

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