Cronache

Si è comprata una barca: così salva donne e bambini

Regina Egle Liotta, calabrese di nascita ma sposata con un americano, ha investito i risparmi nella prima missione umanitaria finanziata da privati

Si è comprata una barca: così salva donne e bambini

Quanto valgono oltre 25mila vite? Nessuno può rispondere. Nemmeno chi le ha veramente salvate come Moas, l'organizzazione umanitaria fondata da Regina Egle Liotta e dal marito Christopher Catrambone, americano di New Orleans, alto e barbuto che sembra un judoka olimpionico. The millionaires who rescue people at sea, li ha definiti la Bbc. Da quando lei e il marito statunitense hanno creato la prima missione di salvataggio privata sono passati appena due anni. Il 25 agosto 2014 Abu Bakr al-Baghdadi da pochi giorni ha proclamato la nascita del Califfato di Daesh, il Mare Mostrum macina bollettini di morte a tre cifre.

Per gli italiani sotto l'ombrellone sono rimasti dei numeri, per lei sono sempre state persone. La lezione della Regina del Mare Egle, così bionda e minuta da non sembrare «terrona» neanche un po' è di quelle che sconvolgono: «Migliaia di persone disperate continueranno a rischiare la propria vita se tutti noi come società civile non saremo in grado di offrire alternative».

E lei l'alternativa se l'è creata da sola: ha fondato Migrant offshore aid station. Con il marito ha rimesso a nuovo una nave da 40 metri presa in Virginia e l'ha chiamata Phoenix. Uno scherzetto che è costato loro almeno otto milioni di euro. «Siamo fortunati: in questi anni abbiamo messo da parte un po' di soldi ma invece di comprarci una nave da crociera per farci le vacanze, ne abbiamo messa una a disposizione del prossimo». Oggi la Phoenix ha un equipaggio di altissimo profilo come l'ammiraglio Franco Potenza, a capo delle operazioni. Moas in due anni è diventata un'organizzazione internazionale finanziata da privati cittadini. Attualmente opera nel Mediterraneo con due navi, la Phoenix e la Responder, di 50 metri. Entrambe sono equipaggiate di due vascelli veloci e un equipaggio di soccorritori professionisti. A bordo di Phoenix ci sono anche due elicotteri, droni S100, camcopter lunghi più di due metri con telecamere con tecnologia a infrarossi per la ricerca, come quelli usati nella missione Mare Nostrum, presi in affitto a un prezzo esorbitante.

La sua ricetta è semplice: «L'unico modo per impedire che migliaia di persone rischino la propria vita in mare è offrirgli delle alternative. Chi fugge da guerre e violenza ha il diritto di raggiungere la salvezza attraverso via legali e sicure. Appena sbarcati i profughi brancolano nel buio, noi siamo i primi a dire loro che non devono fidarsi di nessuno se non dello Stato. So di siriani a cui era stato detto: appena arrivate al porto scappate, non fatevi registrare». Mentre Italia e Libia lavorano a un accordo anti scafisti Egle Regina ha la sua ricetta: «Serve un pool europeo che nei porti italiani aiuti a smistare gli immigrati nei Paesi Ue dove vogliono andare anziché lasciare certi immigrati inoperosi per mesi», dice a chi invece mescola politica e solidarietà, a chi ha paura degli jihadisti nascosti nei barconi come il somalo di 32 anni, Abderahman Abdelkader, a cui ogni profugo avrebbe consegnato duemila dollari per partire e lasciarsi una guerra alle spalle, a chi punta il dito sulle coop rosse dei vari Buzzi e di Mafia Capitale che hanno fatto i soldi sulla pelle degli immigrati.

Anche la Croce Rossa italiana si è schierata al fianco di Moas. Lavora a bordo di entrambe le navi e si occupa dell'assistenza post-soccorso, inclusa quella psicologica, una volta eseguito il salvataggio, distribuito il cibo, i vestiti e le coperte. «Siamo orgogliosi di questo nuovo capitolo della nostra storia - dice il direttore dell'organizzazione Peter Sweetham - siamo nati come la prima Ong a fare search and rescue nel Mediterraneo, in due anni siamo arrivati a collaborare con la Croce rossa italiana». E oggi di Ong che seguono la scia di Moas ce n'è una decina. Marco Cauchi, che parla come il Boss delle torte Buddy Valastro, annuisce. «E pensare che è tutta colpa di una giacca trovata in mezzo al mare nel viaggio tra la Tunisia e Lampedusa: apparteneva a qualcuno che non ce l'aveva fatta», racconta, e la voce si ispessisce. E intanto, ricorda, «la tv mandava in onda il Papa che tuonava: Dov'è tuo fratello? La voce del suo sangue grida fino a me!».

Era l'8 luglio 2013, dietro quell'abito c'era una storia che è diventata quella di Regina. La sua idea funziona, il crowdfunding anche: basta circa un milione al mese per le due imbarcazioni. Briciole rispetto ai soldi buttati dall'Europa per fronteggiare l'esodo dalla Siria e dall'Africa, visto che Moas non riceve un euro dall'Ue. E qui è lei a tuonare contro i governi: «Non c'è nulla di male se il privato aiuta il pubblico, cioè alle forze in mare che chiaramente si trovano in difficoltà. Ma serve un maggiore dialogo tra i governi e le Ong». Per quante vite puoi salvare c'è sempre il rammarico per chi viene inghiottito dal blu profondo. Nell'ultimo mese si calcola che siano stati più di mille. «Nessuno merita di morire in mare. Sono profondamente rammaricata che Moas non abbia salvato tutta questa gente», dice sempre a chi le chiede come si sente ad aver strappato al mare 25mila vite umane come riporta il sito. Fino a duemila profughi in una volta come l'8 agosto scorso, come racconta Ian Rugger, ex tenente colonnello: «Dopo avere avvistato la prima barca con il drone, ne abbiamo vista un'altra e un'altra ancora e via così, fin quando ci siamo ritrovati a provvedere alla prima assistenza di 5 barconi in difficoltà».

«Sono reggina ma mi reputo cittadina del mondo. E tutti dovrebbero sentirsi tali, senza chiudersi nella stretta visuale del proprio territorio d'appartenenza», si schermisce. Di fronte a questa eroina moderna e riservata l'Italia poteva fare molto. Se l'è cavata finora con la nomina di Regina Egle Liotta, nata a Reggio Calabria il 14 ottobre 1975, a Ufficiale dell'ordine al merito «per il contributo che offre nella localizzazione e assistenza dei migranti in difficoltà nel Mediterraneo». Ma gli eroi non hanno bisogno di medaglie.

Nella sua città torna spesso, avendola lasciata solo una decina di anni fa dopo il colpo di fulmine con Christopher sulla piazzetta di Scilla, antico e maestoso borgo sulla costa tirrenica calabrese. Il loro buen retiro dalle fatiche della Tangiers, un contractor che opera nel campo delle assicurazioni internazionali con base a Malta. Christopher, qualche anno più giovane di Regina Egle, ha un blog nel quale ha raccolto le sue emozioni: «Il 30 agosto 2014 avevo appena compiuto 33 anni. Ho salvato una bambina che aveva appena perso la madre. E quando l'ho presa in braccio ho capito che i nostri ruoli si erano invertiti.

Era stata lei a salvare me».

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