Ponte crollato a Genova

Sotto un ponte si sgretola anche lo Stato di diritto

Sotto un ponte si sgretola anche  lo Stato di diritto

Concessioni sfavorevoli allo Stato, incuria nella manutenzione, indifferenza nei confronti di chi aveva segnalato il pericolo imminente... Il crollo del ponte Morandi, a Genova, diventa di giorno in giorno lo specchio di tutto il peggio del nostro Paese. Un altro tema emerge ora dalla disgrazia: la giustizia. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha detto che «non possiamo aspettare i tempi della giustizia». In 24 ore il governo ha aperto e chiuso l'inchiesta, individuato i colpevoli e spiccato il verdetto: revoca della concessione ad Atlantia, la società che controlla Autostrade. Vedremo se Conte passerà dagli annunci ai fatti. Per ora il governo, guidato da un professore di Diritto, mette in discussione proprio le regole dello Stato di diritto, spalancando le porte all'arbitrio. Quale sarà il prossimo caso in cui non si potranno attendere le decisioni della giustizia? È una questione che va al di là della cronaca tragica di questo Ferragosto. Le parole di Conte sono condivise da molti. Basta ascoltare le interviste ai genovesi o leggere cosa scrivono gli utenti dei social network. Circola la convinzione che il processo sarà infinito e si concluderà con un nulla di fatto. Come sempre l'Italia si spacca in due. Chi vuole la revoca immediata della concessione ad Atlantia è accusato di giustizialismo e di incompetenza. Chi preferisce aspettare la sentenza dei magistrati è accusato di voler insabbiare la vicenda per proteggere le responsabilità politiche e il tesoro della famiglia Benetton, proprietaria di Atlantia (che si adopera per rendersi odiosa, riuscendoci in pieno). Tutto questo è sintomo della sfiducia nello Stato di diritto. Sarebbe però sbagliato ascriverla solo alla mancanza di cultura liberale del nostro Paese. La crisi deriva anche dalla disillusione nei confronti della magistratura. Negli ultimi decenni, la giustizia ha dato l'impressione di interessarsi solo alle questioni «da prima pagina» e di imporre una sorta di commissariamento costante della vita politica. Inoltre non è riuscita a dimostrarsi super partes, affondando il solo centrodestra a colpi di inchieste moralistiche finite poi nel nulla o giunte a condanne discutibili. I post-comunisti invece sono stati risparmiati, eccezione fatta per qualche caso di cattiva amministrazione. A questo possiamo aggiungere pubblici ministeri affamati di notorietà, inchieste tanto spettacolari quanto risibili, processi interminabili, sospette «fughe» di documenti dalle procure. Insomma, il campionario è vasto e suggerisce che, negli ultimi decenni, la giustizia abbia scalfito soprattutto la propria credibilità. In questa confusione dei ruoli, che intacca la separazione dei poteri, sono coinvolti anche i giornali.

La stampa, con le dovute eccezioni, ha sposato il metodo di condannare prima delle sentenze, arrivando, in alcuni casi, a mettersi a disposizione dei giudici pur di infangare l'immagine del «nemico».

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