
Davanti a una colazione dietetica alla buvette di Montecitorio, Massimo Bitonci, leghista, già sottosegretario al Mef nel primo governo Conte, osserva da spettatore l'ultima incursione in politica della magistratura: puntuale come i corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico, fatale come la teoria dell'eterno ritorno di Friedrich Nietzsche. «Ma se non puoi farlo neppure attraverso una Fondazione è la sua domanda retorica mi spieghino come si può finanziare la politica? Qui anche con una donazione pubblica rischi. È tutto incomprensibile: ad esempio, la Fondazione non è a scopo di lucro, la srl sì. Della Casaleggio associati, a cui i parlamentari grillini versano ogni mese 300 euro a testa e che, nel contempo, fa consulenze per aziende private, nessuno si occupa; nessuno va a vedere, a proposito di traffico di influenze, se quelle aziende hanno benefici dall'azione legislativa o governativa di esponenti dei 5stelle. Secondo me è automatico. Ma è solo un'impressione. Il vero problema è che sotto lo stesso tetto di questo governo ci sono tutte e due le magistrature interventiste, dalle toghe rosse al filone Davigo».
Altro leghista, altro j'accuse. Spiega l'ex viceministro allo sviluppo, Dario Galli: «Noi ora siamo all'opposizione, ma quando eravamo al governo ci chiedevamo cos'era il reato di traffico di influenza. Se uno riceve il rappresentante dell'Eni, dell'Enel, di Sorgenia, e poi decide per un'opzione pensando al bene comune, rischia comunque di essere indagato. Il problema? C'è una politica debole che si autocastra ed è contenta di farlo».
Appunto, «politica debole». Lo dicono i leghisti, a cominciare da Matteo Salvini, che pure sono avversari di Matteo Renzi, cioè l'ultimo bersaglio. Lo gridano ad alta voce le vittime di ieri e di oggi; ne parla con toni più bassi chi in questa occasione si è salvato e, magari, ha visto un insidioso concorrente «azzoppato». Non lo dicono i grillini che sono il frutto del masochismo che da trent'anni ha contagiato la classe dirigente del Paese e che ha visto le stagioni cadenzate dalle inchieste giudiziarie: da Tangentopoli a Berlusconi, alla Lega, fino a quelle che sfiorano da tutte le parti Salvini (quella sui 49 milioni di finanziamento pubblico puntava a far fuori il Carroccio dal panorama politico) o hanno nel mirino Renzi (quella sulla Fondazione Open mira ad uccidere Italia Viva nella culla). La questione centrale resta il finanziamento della politica, ma non solo. «Sono invecchiato racconta Giuseppe Gargani, nel tempo responsabile giustizia della Dc e poi di Forza Italia a guardare come la classe politica si faceva del male. Il traffico di influenze è un reato che fa rabbrividire: deleghi alla magistratura di decidere cosa è politica e cosa è malaffare». «Sono le conseguenze ripete Enrico Borghi, piddino doc dell'ondata populista che dal '92 ha condizionato un po' tutti. Tra legge Severino, traffico di influenze, abolizione nei fatti della prescrizione, sei in balia di chiunque. Il paradosso è che oggi debbo sorbirmi pure l'autocritica di Di Pietro. Il problema, però, non sono i magistrati, semmai la politica senza coglioni».
È il cane che si morde la coda. O per assenza di coraggio, o perché la tale inchiesta colpisce l'avversario o il concorrente, la politica è inerme. Peggio, si autoflagella. Di più, si vergogna di se stessa. Non pone nessun limite alle incursioni dei Poteri esterni. E declina. La vittima del momento viene lasciata sola, anche se il meccanismo perverso poi può essere usato, a seconda del momento, contro tutti. «Se è la magistratura a decidere cosa è un partito, la politica rinuncia a se stessa e si distrugge la democrazia», si sfoga Renzi. Ed ancora: «Si può andare avanti se il finanziamento pubblico è abolito e quello privato criminalizzato?!».
La risposta è semplice: non si può. E l'assurdo è che sono d'accordo tutti, o quasi (tranne i grillini), ma a parte i propositi non c'è il minimo segno di reazione. «Io confida il piddino Matteo Orfini conosco la Fondazione Italiani Europei e Open e lì, rispetto ad altri soggetti, la trasparenza è massima. In Open addirittura parossistica. Ma a quanto pare non basta, per cui tanto varrebbe tornare al finanziamento pubblico o dare uno status alle fondazioni che si occupano di politica. Poi dovresti abolire la legge sul traffico di influenze e regolamentare le lobby. Se non lo fai rischi le incursioni della magistratura su tutto. Solo che alle solite, per citare il D'Alema di una volta, la politica è debole». «Dovremmo echeggia Emanuele Fiano regolamentare le fondazioni politiche come in Germania». «Regolamentare le lobby», aggiunge Andrea Orlando.
Dovremmo, dovremmo ma nel frattempo potrebbe essere abolita, nei fatti, solo la prescrizione. Così la denuncia finisce per essere solo segno di impotenza. «Non possiamo accettare che la magistratura continui a sostituirsi alla politica», insorge l'azzurra Gabriella Giammanco. «Lo stop alla prescrizione si inalbera il forzista Enrico Costa è la goccia che fa traboccare il vaso. Dal 1992 ad oggi ben 27mila persone sono state arrestate ingiustamente. Impossibile dire il numero di quelle indagate, sputtanate, perquisite all'alba e poi archiviate». «C'è un'altra figura di reato rilancia il piddino Umberto Del Basso De Caro -: sequestro di Paese».
E torniamo al racconto di questi trent'anni in cui la politica è stata cadenzata, condizionata dalle inchieste. Una magistratura che condanna la politica, ma che si autoassolve: dello scandalo del Csm, quello raccontato dal trojan nel telefono del giudice Palamara che ha svelato quanta politica c'è nel Consiglio Superiore, non si è saputo più nulla. A proposito il procuratore di Firenze, Creazzo, quello dell'inchiesta su Open, era uno dei candidati di Palamara per la procura di Roma. Ovviamente, non c'è nulla di male, solo che se non si vuol fare la parte degli struzzi, a questo punto si è portati a valutare pure le conseguenze politiche delle azioni dei magistrati. «L'inchiesta su Open ragiona con i suoi il grillino Carlo Sibilia, sottosegretario all'Interno stabilizza il governo, perché Renzi sarà costretto a più miti consigli. Se va alle urne in queste condizioni prende zero». È probabile, ma non è detto. «Io sto a guardare è l'analisi di Renzi : so che Zingaretti vorrebbe andare alle elezioni per far fuori me. Ma se lo fa è finito anche lui. Franceschini vorrebbe arrivare fino al 2023. Se fossi Salvini farei l'accordone su una legge proporzionale per andare a votare pure nel 2020. Ma non è lucido». Più che altro, come ha detto lo stesso Salvini ai suoi: «Non possiamo fidarci di Renzi».
Per cui tra divisioni,
diffidenze, paure, siamo allo stallo. Tutto è fermo. Non si riforma la giustizia e si va avanti per inerzia. Tutto è fermo. E la politica resta in balìa delle inchieste giudiziarie, come gli antichi del Fato.Augusto Minzolini