Cronache

"Lo Stato non deve rivelarlo". Pietra tombale sulla "zona rossa"

"Esigenze di riservatezza". Il Consiglio di Stato ha stabilito che non dovranno essere rese note le motivazioni della mancata zona rossa in Valseriana, provvedimento che avrebbe salvato migliaia di vite

 "Lo Stato non deve rivelarlo". Pietra tombale sulla "zona rossa"

La mancata zona rossa, le relative responsabilità. Il focolaio micidiale in Valseriana e i tanti dubbi sulla gestione di quel tragico momento. Sui primi mesi della pandemia in Italia ci sono domande alle quali sarà impossibile dare una risposta: il Consiglio di Stato, di fatto, ha messo una pietra tombale su questa possibilità. L'organo istituzionale ha infatti stabilito che lo Stato non deve rivelare perchè decise di inviare e poi richiamare 400 militari nelle zone di Nembro e Alzano tra il 5 e l'8 marzo 2020, determinando così la mancata zona rossa in anticipo sul lockdown nazionale.

Quel provvedimento, secondo alcune simulazioni, avrebbe potuto contenere in maniera sensibile la mortalità provocata dal dilagare del virus. "Tra le 2mila e 4mila vittime si sarebbero potute evitare se fosse stata applicata tempestivamente la zona rossa", aveva osservato nei mesi scorsi il microbiologo Andrea Crisanti, il quale aveva depositato presso la procura di Bergamo una perizia sui primi e decisivi mesi dell'emergenza pandemica nel nostro Paese. Sul fronte politico, a finire al centro di dubbi e contestazioni erano stati l'allora premier Giuseppe Conte e il ministro della salute Roberto Speranza, dei quali anche su queste pagine avevamo annoverato gli errori in quella fase.

A partire da un'istanza dell'agenzia Agi, era stato chiesto al Ministero degli interni di accedere agli atti relativi a quel periodo, per capire cosa fosse accaduto e quali motivazioni avessero giustificato quello strano cambio di rotta in Valseriana. Adducendo motivi di sicurezza, tuttavia, non erano state fornite spiegazioni ufficiali. Il primo diniego era arrivato proprio dal Viminale, seguito da una serie di rimpalli giuridici. Dopo una sentenza del Tar che lo invitava a rendere pubblici i documenti, il ministero aveva pure fatto ricorso al Consiglio di Stato, che aveva accolto l'istanza. Morale della favola: quei documenti non sono mai usciti dai cassetti nei quali erano custoditi sotto chiave.

E a mettere il sigillo sulla pronuncia depositata oggi dal Consiglio di Stato c'è anche "una relazione depositata il 2 febbraio 2022 a firma del Capo della Polizia". Un documento che, a quanto si legge nella sentenza firmata dai giudici Luigi Maruotti e Giovanni Pescatore, ha contribuito a convincere i magistrati delle "rilevanti e apprezzabili esigenze di riservatezza" invocate dal Ministero dell'interno.

Così, le ragioni di quel che accadde a Nembro e Alzano resteranno segrete. Una decisione accolta con sconcerto dai parenti delle vittime, che avevano fatto causa al governo. "Crediamo che l'autorità giudiziaria avrebbe quantomeno dovuto spiegare perchè l'operazione di contenimento del virus sia correlata con l'operazione 'Strade Sicure contro la criminalità organizzata', perchè a noi rimane incomprensibile", ha commentato l'avvocato Consuelo Locati, riferendosi a uno dei temi posti a fondameneto della decisione del Consiglio di Stato. "Soprattutto crediamo avrebbe dovuto chiarire perché questa correlazione sia applicabile solo ai Comuni della bergamasca e non sia stata ravvisata nel lodigiano, quando proprio i militari dell'esercito furono inviati per presidiare quei territori della zona rossa", ha proseguito il legale che rappresenta le famiglie delle vittime.

Domande che non avranno risposta.

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