Politica economica

La svolta delle Fs passa dalla holding in Piazza Affari

"Se qualcuno pensa di privatizzare per fare cassa ci metteremo di traverso, non possiamo cedere beni di famiglia solo per recuperare risorse"

La svolta delle Fs passa dalla holding in Piazza Affari

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«Se qualcuno pensa di privatizzare per fare cassa ci metteremo di traverso, non possiamo cedere beni di famiglia solo per recuperare risorse. Penso a Poste, gioiello delle attività pubbliche di servizio al Paese: aziende come Poste vanno rilanciate e non sacrificate con la logica delle coperture». Lo ha detto il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, in risposta alle dichiarazioni del ministro Giancarlo Giorgetti che qualche giorno fa anticipava un prossimo collocamento di azioni Poste pur precisando che il controllo del gruppo resterà saldamente in mani pubbliche. La replica di Sbarra conferma che ancora non è chiara la differenza tra privatizzazioni e collocamenti sul mercato di quote di minoranza di società strategiche allo scopo, oltre che di fare cassa che non guasta mai, di rendere più efficiente il servizio reso ai cittadini. Un percorso peraltro seguito da altri in Europa, a cominciare dalla KfW (la Cassa depositi e prestiti tedesca) che una settimana fa ha deciso di collocare sul mercato un altro 4% di Deutsche Post, scendendo al 16,5%, proprio con lo scopo di fare cassa in un momento di forti difficoltà del Paese: non era la prima né sarà l'ultima operazione che il governo guidato da Olaf Scholz si troverà ad autorizzare.

Naturalmente fare cassa non deve essere l'obiettivo principale del Tesoro quando privatizza una partecipata; insieme va infatti perseguita l'ottimizzazione del servizio alla comunità che grazie alle liberalizzazioni in corso (si vedano i casi nei settori energia, elettricità e utility) e alla cessione conseguente di quote minori attraverso la quotazione in Borsa, si può ottenere. Per esempio, nel caso delle Ferrovie dello Stato il beneficio di un ricorso a Piazza Affari che probabilmente vedrà la luce a cavallo del 2025, può essere intuibile da parte di chiunque. Oltre all'ottimizzazione degli investimenti, grazie a una più efficiente allocazione del capitale derivante dalla disciplina imposta dal mercato, vale sottolineare il notevole incremento dei risultati aziendali (Eni, Enel, Terna, Leonardo, Poste ne sono un esempio) che deriverebbe dal miglioramento continuo della gestione che dovrà puntare anche sul taglio dei costi: oggi manovra non molto agevole per l'eccessiva contiguità con la politica.

A tal proposito, secondo alcune indiscrezioni raccolte presso le banche d'affari già attive sul dossier, viene smentita l'ipotesi di uno spezzatino delle attività del gruppo per accedere al listino di Piazza Affari. Ne ha parlato di recente sul Domani l'economista Alessandro Penati, secondo cui una parziale privatizzazione delle Fs è impossibile poiché si tratta di un conglomerato di servizi pubblici, attività di mercato e concessioni statali che ne rendono impossibile il collocamento sul mercato, senza prima averlo scisso in società separate.

Osservazione del tutto opinabile, anzi figlia di una logica angusta e convenzionale, perché al contrario la forza di un gruppo come Fs sta proprio nelle enormi sinergie che può sprigionare se mantenuto integro, puntando sulla quotazione delle principali controllate. Non sarebbe dunque necessario scorporare la Rete ferroviaria (Rfi), come Penati vorrebbe, perché basta introdurre una regolazione che la renda appetibile ai capitali privati per ottenere il massimo dell'efficienza finanziaria quotando una partecipazione pure rilevante, ma di minoranza, della holding Fs.

Non c'è nulla da inventare, basta copiare qualcosa che esiste già nel settore energetico, ovvero il regime regolatorio cosiddetto Rab-based: i successi conseguiti da Terna e Snam grazie all'applicazione di questo modello sono di conforto. Per farla semplice, si tratta di un sistema di remunerazione del capitale particolarmente apprezzato dagli investitori istituzionali, che consentirebbe a Fs di abbandonare la forma di finanziamento pubblico a fondo perduto attualmente in vigore per ogni nuovo investimento. Quanto allo Stato, oltre ai benefici citati di maggiore efficienza del servizio, risparmierebbe circa 90 miliardi nell'arco dei prossimi 10 anni (cioè circa 9 miliardi l'anno, un terzo della legge di Bilancio 2024), mantenendo il suo ruolo di indirizzo strategico e di definizione degli investimenti.

Del resto, visti gli impegni assunti dal gruppo sotto la guida dell'amministratore delegato Luigi Ferraris (180 miliardi di investimenti nei prossimi dieci anni, oltre ai 25 miliardi rivenienti dal Pnrr), per un gruppo che si avvia a realizzare 15 miliardi di fatturato e ha in cantiere progetti di espansione all'estero con ricavi fino a 5 miliardi, la strada del mercato è la sola che possa garantire un flusso finanziario adeguato.

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