Cronache

Tanti errori, zero colpevoli. Un algoritmo ci seppellirà

Se errare è senza dubbio umano, perseverare molto probabilmente è tecnologico. Un algoritmo ci seppellirà

Tanti errori, zero colpevoli. Un algoritmo ci seppellirà

La notizia: per dieci anni i pendolari italiani sono stati gabbati. Come? Facciamo un esempio: chi ha un abbonamento ferroviario sulla tratta Torino-Milano paga il 33 per cento al mese in più rispetto al dovuto. E lo scandalo - svelato ieri da Repubblica - non si ferma al Nord del Paese. Scoppia giustamente l'ira dei viaggiatori, le associazioni dei consumatori salgono sulle barricate e Trenitalia passa la palla alla Conferenza Stato-Regioni. Poi - finalmente - viene fuori il colpevole. Che è un non colpevole: l'algoritmo. La colpa è tutta dell'algoritmo che doveva calcolare l'aumento del prezzo dei viaggi. Ecco il capro espiatorio 2.0. «Cherchez l'algorithme», dietro a ogni cosa che non va c'è di sicuro un'equazione sbagliata. Una scusa comodissima: perché il signor Algoritmo non esiste, non ha un nome e un cognome, non può dire «non sono stato io», non può essere licenziato e neppure essere preso a calci nel sedere. Eppure tutto ruota sempre intorno al bipede umano. C'è poco da fare. Perché se l'algoritmo esiste, ci sarà pure qualcuno che l'ha inventato. O no? E invece non si riesce mai a sbirciare dietro a questa foglia di fico digitale. L'errore umano ha trovato una nuova maschera dietro la quale nascondersi. E non è la prima volta. Ormai è un'abitudine. Vi ricordate tutto il caos sui docenti spediti a insegnare da una parte all'altra dello Stivale quando avevano una cattedra libera dietro casa? Ecco, anche in quel caso l'istituzione di riferimento - cioè il Miur - fornì la solita spiegazione: colpa di un algoritmo sbagliato. Ovvio.

Ma l'algoritmo - o chi per esso - è un nemico equo, se la prende con tutti, non fa differenze sociali: dal professore di educazione fisica obbligato a percorrere centinaia di chilometri per costringere a una capriola uno studente svogliato, al manager imbretellato che fa circolare i soldi di una banca d'affari. Nell'agosto del 2013 - giusto per citare uno dei casi più sapidi - Goldman Sachs ha perso cento milioni di dollari. Il responsabile? Sempre lui, il solito algoritmo.

Per non parlare di tutti gli svarioni che, quotidianamente, vediamo su Facebook. La foto di una mamma che allatta viene censurata mentre il video di un atto di bullismo pascola tranquillamente sulle nostre bacheche? Provate a chiedere a Mark Zuckerberg di chi è la responsabilità, lui, serafico, vi risponderà che è ancora una volta colpa dell'algoritmo. In questo caso di quello che si occupa di selezionare e aggregare le notizie sul social network per poi spedirle sulle nostre pagine.

Ma, alla fine, la colpa è solo nostra. Abbiamo delegato tutta la vita a un algoritmo, abbiamo abdicato all'umano, sperando di evitare la colpa e schivare la responsabilità, nella ricerca di una perfezione che non esiste. E non abbiamo ancora capito che se errare è senza dubbio umano, perseverare molto probabilmente è tecnologico.

Un algoritmo ci seppellirà.

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