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La "tentazione Schettino" del governo che vede nero

Di Maio e Salvini sdoganano la parola "crisi": sanno che il Paese sta colando a picco e cercano la scappatoia

La "tentazione Schettino" del governo che vede nero

Nel Transatlantico Montecitorio deserto del lunedì mattina, Mara Carfagna, vicepresidente della Camera che non è mai stata tenera con la maggioranza gialloverde, si lascia andare ad un ragionamento che contiene il tallone di Achille della strategia di chi, tra i leghisti e i pentastellati, punta alle elezioni in autunno. «Salvini e Di Maio osserva sembrano gli emuli del comandante Schettino. Troppo facile abbandonare la nave mentre sta per infrangersi sugli scogli. Se lo facessero ci sarebbe da ordinargli: Tornate a bordo!. Più o meno come fece De Falco con Schettino. Entrambi hanno lodato per mesi la politica economica del governo e ora, di fronte alla drammatica condizione del Paese, per scappare pensano alle urne. Come minimo dovrebbero prima mettere in sicurezza il Paese con una manovra. Non si tratta di un'opzione, ma di un dovere».

Cambia la scena, ma non viene meno il paragone tra Salvini e Di Maio e il comandante che abbandonò la nave da crociera Costa Concordia al suo destino. Qualche giorno fa Pierluigi Bersani, che nel 99% dei casi la pensa in maniera diversa dalla Carfagna, congetturava in proposito: «Il voto in autunno? Potrebbe anche avvenire perché sono pazzi. Probabilmente a Salvini piacerebbe andare alle politiche a primavera, dopo le regionali in Emilia, ma hanno paura della manovra che gli imporrà l'Europa. Solo che se si ritirassero alla vigilia della legge di Bilancio farebbero davvero la figura del comandante Schettino».

Già, il paragone con il comandante Schettino risuona. E viene anche naturale visto che i due dioscuri che coabitano da un anno nella stanza dei bottoni, dopo aver raccontato ai quattro venti che il primo gabinetto Conte sarebbe durato 4 anni, hanno tolto l'embargo alla parola «crisi» ora che i titoli di Stato italiani sono considerati più vulnerabili di quelli greci e Bruxelles ci chiede conto degli errori della stravagante politica economica gialloverde. Lo hanno fatto da un giorno all'altro, sull'onda del successo della Lega e delle paure che le urne europee hanno suscitato tra i grillini, rimuovendo dalla loro mente l'immagine di un Paese che assiste sgomento alle guerre di potere che dilaniano la magistratura e per la prima volta è testimone della protesta di tre generali che disertano, mai successo finora, la parata del 2 giugno. Possono in queste condizioni Salvini e Di Maio portare il Paese alle urne? Magari sì, ma solo decretando il loro fallimento, essendo entrambi corresponsabili, e rimangiandosi tutto quello che hanno teorizzato in un anno: in fondo il primo a dare questa lettura di un'ipotetica «crisi» è stato ieri il premier Giuseppe Conte, ragione che gli ha dato la forza di sbattere i pugni sul tavolo. In altre parole i due vicepremier dovrebbero ammettere che le loro politiche di più, i loro slogan e i loro stili rischiano di essere più letali di tutti i pericoli che incombono sul Paese. Nei fatti, correndo al riparo delle urne, Salvini e Di Maio dimostrerebbero, infatti, che il «governo del cambiamento» ha provocato un cambiamento in peggio (del resto il 58% degli italiani dichiara che si stava meglio un anno fa). E ancora, darebbero ragione a chi già un anno fa sosteneva che un'alleanza tra i «gialli» e i «verdi» era contro natura e che il «contratto» di governo era poco più di una farsa. In più rischierebbero di tirarsi addosso accuse di «irresponsabilità» e «incoerenza». Può una maggioranza che teorizza una strategia più «muscolare» in Europa, mandare a luglio a Bruxelles, per trattare il nostro ruolo nella Commissione, un governo dimissionario? Certo, ma a quel punto difficilmente riuscirebbe a strappare per il nostro Paese un Commissario economico; anche la conferma dell'incarico di ministro degli Esteri della Ue, occupato per ora dalla desaparecida Mogherini, diventerebbe un miraggio; al massimo, in simili condizioni, l'Italia potrebbe aspirare a soffiare a Malta la poltrona di Commissario per la pesca.

Non basta. La ragione per cui l'anno scorso fu varato il governo gialloverde - sia nei ragionamenti di Cottarelli, sia di Draghi, benedetti da Mattarella fu più o meno questa: affrontare il mese di agosto con un governo dimissionario, con pochi scambi sul mercato, mette i nostri titoli di Stato nel mirino della speculazione. Per cui Salvini, alla fine aprendo la «crisi», creerebbe le condizioni migliori per operare per quelli che sono da sempre gli incubi del suo immaginario, dai Poteri Forti al finanziere anti-sovranista George Soros, che ci metterebbero poco ad approfittare delle «sparate» che si farebbero in un'eventuale campagna elettorale (quella delle europee insegna). Senza contare che se nell'agosto dello scorso anno lo spread partì da quota 233 e arrivò a fine mese a 285, ieri era già a 276 dopo aver superato i 290 punti nei giorni scorsi. «Io confidava ieri l'ex ministro del Tesoro, Giulio Tremonti la legge di bilancio la facevo a luglio, lasciando poi la definizione delle tabelle all'autunno, proprio per non prestare il fianco ai quattro gnomi». Solo che approvare una manovra subito e dopo andare al voto, non sarebbe igienico, sul piano elettorale, né per Salvini, né per Di Maio.

Infine, i due vicepremier si troverebbero ad affrontare un rebus politico: andare alle elezioni dopo aver decretato il fallimento dell'alleanza gialloverde li priverebbe di questa formula per il dopo elezioni. Poco male, visti i risultati, ma per ora non ne hanno a disposizione altre. Avrebbero bisogno di tempo per costruirle, anche perché i modelli che girano non convincono. L'idea di un governo insieme alla Meloni, cioè destra+destra, che qualcuno suggerisce all'orecchio di Salvini, rischierebbe, infatti, di spingere i grillini nel campo della sinistra (aiutando i Fico e i Di Battista a scapito di Di Maio, negli equilibri interni al movimento) e metterebbe in moto la costruzione di uno schieramento contrario: conoscendo il Paese, se i cosiddetti «democratici» durante la campagna per le Europee hanno esposto le lenzuola alle finestre, con uno scontro elettorale del genere si arriverebbe ai materassi. L'unica sicurezza per vincere sarebbe l'allargamento dell'alleanza a Berlusconi, ma sul tema il leader leghista nicchia. «A quanto ho capito ha spiegato nei giorni scorsi ai suoi il Cav - Salvini un'alleanza con noi non la vuole proprio: vorrà dire che ci inventeremo altro».

Insomma, ci vorrebbe del tempo per far maturare nuove alleanze o nuovi equilibri: magari dei mesi, fino alla primavera prossima. Tanto più che in politica si sceglie sempre la via più semplice: per cui ieri dopo la sortita di Conte, proprio per evitare il paragone con il comandante Schettino, entrambi i vicepremier, con il rispettivo stile e linguaggio, hanno detto: «Andiamo avanti». Mentre in confidenza il ministro dell'Agricoltura, Centinaio, ha azzardato una profezia con un vecchio amico di Forza Italia: «Le urne? Magari a primavera...

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