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Tregua Renzi-M5S: stop ai transfughi

Tregua Renzi-M5S: stop ai transfughi

Le parole sono quelle che raccontano la fine di un amore in una celeberrima canzone di Francesco De Gregori: Rimmel. E Matteo Renzi la canta al microfono di radio Rock dedicandola apertamente a Zingaretti e al Pd: «Una canzone di addio, una canzone tra due innamorati che si lasciano». Con una serie di chiose che caratterizzano le differenze tra lui e loro. «Finale per Zingaretti sottolinea l'expremier -: Ora le tue labbra puoi spedirle ad un indirizzo nuovo e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro. O ancora i tuoi quattro assi bada bene di un colore solo. Rosso precisa fuori testo Renzi -. Li puoi nascondere o giocare con chi vuoi, o farli rimanere buoni amici come noi. Perfetto! Buoni amici come noi: noi siamo amici. Ma caro Zingaretti, le labbra spediscile ad un altro».

In fondo in questa performance canora improvvisata è descritto perfettamente il rapporto che Renzi vuole avere con il suo ex partito: dentro ci sono le complicazioni degli amori finiti; un pizzico di rancore verso quelli che considera i suoi detrattori, i rossi; l'esigenza in tutte le coppie che si rompono di trovare un modus vivendi per andare avanti. Del resto non è la prima volta che nella Terza Repubblica le canzoni anticipano le svolte. Il 5 dicembre dello scorso anno il premier Giuseppe Conte anticipò il suo armistizio con le istituzioni Ue cantando una canzone di Francesco De Gregori, Generale, sempre a radio Rock. Questa di Renzi delinea, invece, quella che sarà una convivenza difficile con i suoi compagni di partito, che magari in alcune fasi sarà burrascosa, ma che difficilmente porterà ad una rottura per un nuovo governo e ancor meno determinerà la fine di questa legislatura.

Questo non significa che l'ex segretario del Pd farà sconti al Pd. Anzi. «Sull'Iva 1 a 0 per me», è la battuta sarcastica che dedica al primo scontro vero dentro la maggioranza di governo sulla legge di bilancio. E in questo modo, al di là della prudenza di facciata e alla volontà di ridimensionare sul piano formale la polemica con gli ex compagni di partito del Pd, Renzi rivendica quella che considera una battaglia d'identità, se non addirittura ideologica, per il suo nuovo partito: il no a nuove tasse sotto qualsiasi forma. Un atteggiamento quasi naturale per una forza che punta proprio sulle differenziazioni con il Pd, sugli strappi con la politica tradizionale del partito di Zingaretti, per legittimarsi agli occhi dell'elettorato moderato, vero interlocutore di Italia Viva. Per Renzi, quindi, i distinguo, anche marcati, con il Pd, sono una necessità, uno strumento indispensabile per fare crescere quel 4,5-5% che per ora gli assegnano i sondaggi.

E questa strategia, naturalmente, condiziona le tattiche e le alleanze congiunturali del segretario del Pd. In questa logica, ad esempio, può essere un compagno di strada Giggino Di Maio, ma non lo può essere Giuseppe Conte che, avendo l'ambizione, magari velleitaria, di diventare il riferimento di un'area moderata che guarda a sinistra e il campione dell'anti Salvinismo, è diventato un concorrente di Renzi e un alleato funzionale per Zingaretti. Tant'è che il leader di Italia Viva ha dato indicazioni in proposito ai suoi il giorno del giuramento del governo: «Lasciate stare Di Maio. In questo momento non è il nostro bersaglio. Semmai incalzate Conte e, se necessario, qualche volta polemizzate anche duramente con lui. È lui il nostro obiettivo».

Ecco perché il personaggio alla domanda se ha stretto un patto con Di Maio per evitare l'approdo di altri grillini ad Italia Viva, risponde con un «boh» che sa tanto di ammissione. Ecco perché ammette candidamente con il suo inner circle: «Sto tentando di evitare che altri due 5 Stelle si accasino con noi. Almeno fino all'approvazione della legge di bilancio, su questo versante, stiamo fermi». Ecco perché, infine, i contatti con il capo politico del grillismo di governo da inesistenti, cominciano ad essere, specie quelli indiretti, frequenti.

Diverso è, invece, l'orientamento sull'altro fronte della campagna di arruolamento, cioè l'area moderata. Qui l'atteggiamento è opposto. «La cosa più interessante, più strategica ha spiegato l'ex premier sarebbe se venissero un po' di forzisti. Così davvero eviterei l'immagine di una forza scissionista per trasformarla in un soggetto politico dell'area centrale». Non per nulla i contatti con esponenti di Forza Italia si stanno intensificando, nel tentativo di offrire una sponda agli scontenti, alternativa a quella leghista.

Anche perché sul modello di Macron in Francia e Ciudadanos in Spagna, Renzi ha interesse a dialogare con l'area moderata del centro-destra, nel tentativo di emarginare il polo sovranista. La solidarietà data pubblicamente al Cav, chiamato in causa per le bombe mafiose del '93 dalla procura di Firenze («la stessa che decise l'arresto dei miei genitori», rimarca), è stato uno dei tanti segnali. Del resto l'elemento più negativo dell'attuale equilibrio di governo, è che tutta la magistratura interventista dagli eredi di Magistratura democratica ai giustizialisti di Piercamillo Davigo ora abita sotto lo stesso tetto. «E questo ammette Renzi è un problema». Non per nulla in un mese sono finiti nel mirino dei magistrati Salvini (tangenti russe), Renzi (finanziamenti alla sua fondazione) e Berlusconi (attentati mafiosi).

Insomma, tutto è in movimento, meno il Pd. Lì l'«operazione Renzi» è vista con diffidenza, scetticismo, se non, addirittura, con disprezzo. Al punto che ieri il capogruppo dei senatori, Andrea Marcucci, già renziano che non è finito in Italia Viva, ha implorato i suoi di «liberarsi del fantasma di Renzi con la terapia di gruppo». Il problema, però, più che psicologico è politico. In quel partito c'è ancora chi accarezza l'idea di un bipolarismo fondato sull'alternativa tra Salvini e Zingaretti. La stessa illusione che aveva portato in un primo momento l'attuale segretario del Pd a dare il suo ok al leader della Lega per le elezioni ad ottobre. Un'ipotesi suicida quella dello schema «Zingaretti contro Salvini» perché potrebbe poggiarsi solo su un'alleanza strutturale con i grillini, alleanza che è nella mente del segretario del Pd, ma non in quella di Di Maio. Senza contare che né Zingaretti, né tantomeno Gentiloni, sono leader attrezzati per uno scontro da maggioritario con Salvini.

E torniamo di nuovo a Rimmel e a De Gregori, ad una strofa su cui Renzi vorrebbe che Zingaretti riflettesse: «Chi mi ha fatto le carte.

Mi ha chiamato vincente, ma uno zingaro è un trucco».

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