Cronache

Massacrata con 120 coltellate. Ma per i giudici l'uomo "non voleva infierire"

I giudici della Cassazione hanno confermato lo sconto di pena per l'assassino: "Non c'è l'aggravante della crudeltà"

Uccisa con 120 coltellate. Ma per i giudici l'uomo "non voleva infierire"

Monia Di Domenico, psicologa pescarese di 45 anni, fu uccisa dal suo assassino con 120 ferite da taglio. Ma per i giudici della Cassazione l'aggressore non agì con crudeltà in quanto la vittima provò a difendersi. "La reiterazione dei colpi non era caratterizzata dalla volontà di infierire sulla donna", scrivono gli Ermellini nella pagine di motivazione della sentenza che conferma 17 anni di reclusione per l'imputato Giovanni Iacone.

Le motivazioni dei giudici

Dopo quattro anni di processi e battaglie legali, si chiude il caso dell'omicidio di Monia Di Domenico. Stando a quanto riporta ilCentro.it, i giudici romani non hanno riconosciuto all'assassino della donna l'aggravante della crudeltà confermando la pena a 17 anni di reclusione espressa in secondo grado dal Tribunale de L'Aquila.

Secondo la Cassazione, l'aggressore "fu costretto a un’azione lesiva congiunta (scannamento e soffocamento) funzionale alla dinamica omicidiaria e non espressiva di gratuita efferatezza", si legge nelle motivazioni della sentenza odierna. "La reiterazione dei colpi - concludono gli Ermellini - non era caratterizzata dalla volontà di infierire sulla donna".

L'omicidio per 780 euro di affitto

Il delitto risale al pomeriggio dell'11 gennaio del 2017 in un appartamento al civico 65 di via Monte Sirente, in località Francavilla al Mare. Monica, pisicologa 45enne originaria di Corropoli (Teramo) residente da qualche tempo nel Pescarese, quel giorno si era recata presso la casa al mare di famiglia, in affitto da qualche mese a un tale Giovanni Iacone, cuoco fiorentino, per riscuotere alcune mensilità arretrate: un ammontante di 780 euro.

La richiesta, seppur legittima, aveva mandato su tutte le furie l'inquilino che non esitò ad aggredire la giovane professionista. Per circa 30 minuti, Iacone infierì sul corpo di Monia: dapprima colpendola per 16 volte al viso con dei sassi poi, con un pezzo di cristallo rimediato verosimilmente da un tavolino rotto. Centoventi furono le ferite da taglio rilevate dal medico legale durante l'autopsia.

Quando i Carabinieri della stazione di Francavilla al Mare arrivarono sul luogo della mattanza, allertati da un vicino di casa della vittima, trovano l'aggressore intento a fasciarsi una mano e a ripulirsi delle tracce di sangue. Mentre Monia era stata avvolta in un paio di lenzuola e trascinata esanime dal suo aguzzino per due rampe di scale.

Il processo

In primo grado, il Tribunale de L'Aquila condannò Giovanni Iacone a 30 anni di carcere riconoscendo l'aggravante della crudeltà (Monia fu ferita al volto e alla testa sia con un sasso sia con una grossa scheggia di vetro). Tuttavia, l'aggravante non fu riconosciuta in Corte d'Appello, che pertanto ridusse la pena a 17 anni di reclusione.

Contro questa sentenza, i legali di Iacone presentarono ricorso in Cassazione, chiedendo l'annullamento in relazione all'aggravante.

Oggi, la pronuncia definitiva degli Ermellini che sancisce le pagine conclusive di questa drammatica vicenda.

Commenti