Cronache

"Vi racconto due o tre cose sulla Stampa e l'Avvocato"

"A dire il vero non mi avevano invitato, ma non mi ero offeso e, il giorno prima, attraverso un amico, ho sollecitato un invito"

"Vi racconto due o tre cose sulla Stampa e l'Avvocato"

Jas Gawronski, nipote di Alfredo Frassati. La memoria a Torino fa brutti scherzi, dimentica le date, i direttori del Ventennio, i fondatori e anche i nipoti.

Lei era presente al Lingotto ai festeggiamenti per i 150 anni de La Stampa?

"A dire il vero non mi avevano invitato, ma non mi ero offeso e, il giorno prima, attraverso un amico, ho sollecitato un invito. Il fatto è che La Stampa, in quanto tale, è nata non 150 ma esattamente 122 anni fa, assorbendo la Gazzetta Piemontese quella sì nata 150 anni fa. Mi sembrava un po' audace l'idea di stiracchiare la vita de La Stampa di qualche decennio in più, ma capivo l'interesse del giornale ad apparire più radicato e con più antiche tradizioni. Pensavo, tuttavia, che almeno avrei assistito a una celebrazione del vero fondatore, mio nonno Alfredo Frassati".

E invece?

"A parte un sentito ricordo di Paolo Mieli, nulla. E fuori dal Lingotto, la mattina, all'inaugurazione di una mostra, un ottimo intervento del professor Castronovo".

Come spiega questi vuoti di memoria?

"Non me lo spiego, ma Gianni Agnelli sembrava avvalorare la tesi che La Stampa, sebbene nata in continuità, fosse cosa diversa dalla Gazzetta Piemontese. L'Avvocato, infatti, intervenne allo scoprimento di una lapide che mia madre volle sulla casa di Piazza Solferino dove La Stampa è nata, in occasione del vero centenario. Purtroppo l'Avvocato non c'è più".

E quindi, secondo lei, la storia de La Stampa va riscritta?

"Non riscritta, ma sfrondata da varie inesattezze. Del resto ci ha pensato mia madre, Luciana Frassati, che ha dedicato sei grandi volumi alla storia del giornale. Nella prefazione l'insigne storico Gabriele De Rosa parla de La Stampa come cosa nuova nella storia del giornalismo italiano... indubbiamente fu il capolavoro di Alfredo Frassati".

Con l'Avvocato, le capitava di parlare de La Stampa?

"Sì, sovente. Era una sua passione e lo considerava il miglior giornale italiano, una eccellenza civile e morale. Non mi ha mai offerto la direzione, ma sondava la mia opinione sulle nomine che intendeva fare e lo intuivo quando cominciava a chiedermi più spesso le mie impressioni su questo o quel giornalista. Ogni tanto gli ricordavo che se non ci fosse stata quella insana complicità fra Mussolini e suo nonno forse oggi sarei io il proprietario e il direttore de La Stampa!".

Insana complicità?

"Mio nonno si oppose sin dall'inizio al fascismo dimettendosi da Ambasciatore a Berlino e denunciando il delitto Matteotti. Mussolini, che aveva maturato un profondo astio nei suoi confronti, nel 1925 costrinse Frassati prima a lasciare la Direzione poi a vendere il giornale al Senatore Agnelli".

Come reagiva l'Avvocato a questa ricostruzione storica?

"Prendeva in giro mio nonno per la sua proverbiale parsimonia, lui parlava di tirchieria, ma quando esagerava gli ricordavo che, a differenza del suo, mio nonno non si era mai fatto fotografare in orbace! Ma, pur nella differenza dei caratteri, aveva una certa stima di Frassati, riconoscendogli il merito di aver apportato importanti innovazioni nella stampa italiana, a partire dall'articolo di fondo in prima pagina fino ai vari supplementi oggi così di moda".

Che rapporto aveva Agnelli con i giornalisti?

"Ne era attratto, ma non aveva grande stima della categoria, esclusi quelli fra i più importanti che conosceva bene. Oggi forse si sentirebbe un po' spaesato, perché per anni lui e la sua azienda hanno fruito di una impermeabilità alle critiche dei giornali di cui oggi non potrebbe più godere".

Ma se Lei fosse oggi il Direttore de La Stampa che farebbe?

"Metterei in pagina i cinque ritratti dei direttori del Ventennio, dimenticati nel supplemento celebrativo.

La storia è storia e non bisogna vergognarsi".

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