Politica

Vogliono far votare i sedicenni. I politici sono davvero gretini

Vogliono far votare i sedicenni. I politici sono davvero gretini

Dalle piazze alle urne, la tentazione è troppo forte. «Facciamo votare i ragazzi di Greta», pattina sul velluto del politicamente corretto, Enrico Letta. Che insiste: «Il momento opportuno è adesso», con questa maggioranza.

Striscioni. Cortei. Slogan per un ambiente migliore: i sedicenni hanno acceso in mezzo mondo la fiaccola della nuova religione ecologista e l'ex premier, di solito non banale, prova a trasformare la loro energia in capitale politico: «È un modo per dire a quei giovani: esiste un problema di sottorappresentazione delle vostre idee, dei vostri interessi», spiega alla Repubblica il professore che ha appena ripreso la tessera del Pd.

Ragionamento curioso quello di Letta. Anche i trentenni e i quarantenni si sentono sottorappresentati: loro in cabina possono entrarci, ma i risultati arrivano con il lumicino e sono solo una goccia nel mare delle aspettative. I cinquantenni hanno meno visibilità delle nuove generazioni, forse perché non si prendono per mano e non percorrono le strade delle nostre città, invocando un'aria e un cielo più puliti. Corrono in fabbrica, in ufficio o dietro ai figli, quando ancora ci sono, e non si interrogano sul futuro. Non ne hanno il tempo, perché il loro problema è il presente troppo stretto e troppo chiuso. L'occupazione, precaria come una parete di roccia friabile, e lo stipendio, che nella babele dei nuovi lavori è volubile come il meteo. Gli uomini e le donne di mezza età non hanno potere e spesso non intravedono nemmeno un accenno di soluzione ai loro guai. Non parliamo poi degli ottantenni e dei novantenni, un esercito di invisibili dimenticati e spesso buttati ai margini della società. A loro che facciamo? Il diritto di voto glielo togliamo?

I partiti non hanno più la capacità di offrire una visione del mondo e infatti il partito dell'astensione e della disillusione cresce a ogni tornata. Ed ecco che il Palazzo, invece di interrogarsi sui propri fallimenti, sale sulla giostra colorata della gioventù che per qualche giorno ha conquistato le prime pagine con richieste sacrosante e sperimenta una sorta di elisir di giovinezza. Allargare la platea, sperando che serva a svecchiare e rendere più seducenti meccanismi sempre più incrostati e astratti. È un gioco trasversale, già visto in questi anni: da Walter Veltroni alla Lega molti hanno spinto per fare entrare nella mischia della polis anche i sedicenni, e Beppe Grillo, vai a capire se come capocomico, ha allargato pure ai quattordicenni.

Intendiamoci, ci sono paesi in cui la prima volta arriva prima. Si può affrontare il tema con diverse prospettive, anche se le analisi sociologiche ci confondono le idee, dipingendo questo spicchio di paese come un carrarmato sofisticato, dotato di una strumentazione mai vista nel passato, salvo poi spiegarci che questi ragazzi sono fuscelli fragilissimi, abbarbicati ai loro genitori. Difficile raccapezzarsi in questo ginepraio.

Ma non si esce da questa crisi, crisi di identità della democrazia, vendendo un po' di fumo, con lo sguardo magari rivolto alla convenienza, effimera, del momento.

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